lunedì 28 luglio 2014

CCXXXXVII

Ecco, si è compiuta un'altra metamorfosi
dell'immagine che avevo io di te.

Non più irraggiungibile vestale del Tempio della Conoscenza
ma donna, finalmente, bella e amata donna

un poco inquieta così come sei tu e, di più,
a tuo agio nel baratro assassino di poeti, e perché no,

più giù ancora, nell'Inferno sprofondata
dal quale uscirai, ci puoi giurare, adesso,

con le tue forze di guerriera dura
e con le armi che ti si offriranno.

Io sarò ascia, per te, contro il demonio.

CCXXXXVI

Trasla tutto nel campo dell'illusione
là dove Maya può attaccarti infida,
svolgi la tua azione in proiezione
sdoppiati da te, affronta l'irrealtà, non la realtà.

Le corde da traino recidi con la spada
come mi dicesti, e fallo veramente;
stai per spiccare un salto dolce amica
non potrai farlo se resti ancor legata.

Negatività non devi più assorbire,
se non riconosci ancora i negativi
per saperlo, a te mettili innanzi;
il plesso solare ti darà angustia, allora.

Attaccati soltanto ad una corda,
per risalire, come ho fatto io con te;
se divarichi gli arti in presa strana
raddoppi lo sforzo per trascinarti su.

Se la corda precedente si è spezzata
abbandonala senza rammarico, non potrà più 
svolgere la sua funzione elevatrice;
lasciala al fondo, dov'è raggomitolata già.

Il fondo non fissare, guarda in alto,
per scalar montagne, lo sai, si fa così;
è sempre comunque meglio passeggiare su un costone
che farsi attrarre dal fondo che è dentro te.

Il fondo così nell'illusione resta
se giorno dopo giorno ti distanzi,
se cerchi quel poco che basta alla tua vita.
La realtà è quel che resta, dell'irrealtà, per noi.

La cima della montagna è infinitamente meno vasta
della sua base, che appartiene al fondo.

domenica 27 luglio 2014

CCXXXXV

HFalce di Luna di nuovo all'orizzonte
sagoma stagliata contro il fondo
lontana ancora troppo dai miei occhi

i tratti ancora immersi nella notte
nel buio dove il cielo ti posò
per dare una luce ancora a quelli come me

mannari mostri ancora ciechi nella mente
che nelle tenebre sono crescenti insieme a te
e che catturi con la dolce forza tua

fatta d'attrazione e repulsione insieme;
rivolta a me, da sola mi hai attirato e mi hai convinto
che essere Luce è ancor più che imperversare

in quella storia ricca solamente di fantasmi;
e mi hai preso accanto a te per incamminarmi
dal mio tramonto e dalla notte al Sole

del quale vedo adesso la mia prima aurora
con il pensiero però restando sempre accanto a te,
fino a strapparti con l'amore e la sua forza

dal tanto nero nel quale tu stanziavi,
fino a cambiarti da satellite nell'astro,
amata stella significante la mia vita

mi ricompari ora per affacciarti a questo giorno
Falce di Luna, stavolta più vicina,
nuda in tutto, i tuoi flessi risplendono abbaglianti;

rimani nel Sole, il satellite potrà 
ridurre di una fase se tu gli mancherai;
bella, ti abbraccio anche con gli occhi

ora che vedono, puoi crederci, lo sai.
Resta tra gli astri, dov'è il posto tuo.

CCXXXXIV

Notevole risposta, tu mi hai replicato,
e altrimenti non avrei saputo fare, replicando a mia volta,
ad un tuo richiamo che, ti dirò, era da molto tempo atteso,
anche se, in fondo, avrei potuto fingermi distratto.

La prima ragione della risposta, l'attenzione che riponevo
in quel che andavo dicendoti, proprio a te che m'hai aperto il cuore,
mostrandoti così, e mi hai creduto come ti credetti io a mia volta;
ho voluto mostrarmi di una qualche utilità per te.

Il secondo motivo era che tu mi sfidi in tutto,
richiedendomi da brevi tue parole una risposta chiara,
e sai bene che una sfida tua così palese
m'accalappiava appieno per dimostrarmi a te tuo pari.

Esserti utile o pari in fondo non ha rilevanza;
il fascino dello sconosciuto manterrei volentieri per te;
immagina perciò che gli scritti che ti ho portati,
come pure le fotocopie annesse, provengano da lontano.

Immagina il lontano più lontano ancora,
quello che passa i confini dei Mondi Uniti e il Cosmo.
Tu sai con quanta venerazione.

CCXXXXIII

Ti ho sognata, stanotte, ed è la prima volta
da che ricordi.
Avevi abbandonato la Panda oramai sfasciata
ed eri alla guida

di una Fulvia coupé color metallo argento;
avevamo appuntamento all'Aventino
nella piazzetta sotto casa ch'era mia.
Mi sono seduto allora accanto a te

e nella splendida giornata di sole,
ch'era poi la domenica di oggi,
mi hai scarrozzato con te a Positano,
dove ci siamo persi nel profumo e nei colori

delle buganvillee in fiore aggrappate alle pareti.
Non potevo chiedere di più, dopo averti amata.

CCXXXXII

 Vivere non è soltanto realizzare il possibile
come l'edito, colui cioè che resta quel che è,
ancora immagina.

Vivere è soprattutto abbattere le barriere dell'impossibile,
abbattere l'incapacità mia propria di saperlo fare e bene,
per fermarmi poi nel mondo dove starò a mio agio, inedito,

cosciente della originaria alterità, capacità stavolta
di manifestarmi intero, senza più dubbio alcuno,
che quel passaggio mi renderà possibile.

La tua asserzione, che il Sole prosegue intanto il suo cammino,
è vera per meno di metà;
il tuo senso dell'inconoscibile deve ancora

integrarsi con un'altra tua realtà,
nella quale vedrai che mistero non c'è, che tutto è chiaro,
e che sempre in alto ci dirigiamo, come faville di fuoco.

È vero soltanto per metà, ma per metà è vero. 

CCXXXXI

Elementare, come direbbe
quel signore capelluto quando scioglieva
gli enigmi più intriganti, accompagnato
dall'assistente meno dotato e attento.

Li ho divorati quei racconti, invidioso
della sua mente
che solo a chi non pensa poteva apparir contorta
perché funzionava per analogie, per deduzioni.

Forse riesco a farlo anch'io, ora, chissà.

L'ombratura che ti avvolge il viso e il resto
e la tua stessa proiezione d'ombra a terra
quando dal Sole ti allontani eretto
sono illusione e dentro ci sei immerso.

Solo se incedi deciso nella Luce, quell'illusione
non la scorgi più, anche se l'hai ad un passo.
Ovvia constatazione, ad arrivarci
ci ho messo quarant'anni e forse non son bastati.

Elementare, Lorenzo.

CCXXXX

Sono giornate belle, Diana, comunque andrà;
oltre al rispetto c'è l'affetto profondo
ed anche se il gioco delle parole che tu
hai detto contenuto entro rettangoli bianchi

ha scavalcato in effetti le realtà che conoscevamo
arricchendoci entrambi;
la tenerezza che ci lega offre ancora margine
a questo scambio che solo all'esterno può sembrare

univoco richiamo.
So che non è così, ancora, ma se dovessi
arrivare ad essere poco opportuno
per la mia tendenza a scarnificare me,

e te, se ti presti a questo aspetto del mio gioco,
ignorami e capirò dove ho sbagliato;
altrimenti, se tu mi darai seguito,
leggerò te a voce alta affinché tu mi ascolti

e tacerò solo per rispettare il tuo pianto
di gioia commossa
ogni volta che, comprendendo qualcosa ancora,
ti sarai lasciata finalmente andare.

CCXXXIX

Il clown con la faccia da clown
si sfila le ali altrimenti ingombranti
si inerpica sciolto su scale di corda

si affida deciso al trapezio sospeso
si lancia con questo a cercar quello opposto
piroettando leggiadro staccato dal suolo

inventando figure rotonde e spezzate
si libra più in alto di quanto potrebbe
rimanendo alla vista di quanti lì stanno

ad applaudirlo
come acrobata
che sogna spazi celesti

dove fuggire
per sempre
dopo averti rapita.

CCXXXVIII

Di nuovo il taccuino tra le mani per parlare di me.
Oggi a Porta Portese con Rosanna tante cose più chiare,
dopo le nostre conversazioni.

Sa cogliere il senso di magnanimità che m'appartiene,
che io pensavo ospitato in tutti.
E' così, so liberare da uno scacco matto

non tanto per non giocare più al gatto e il topo
ma perché non intendo esercitar giustizia
anche se ne conservo profonda concezione.

E' però divenuto sufficienza il mio, non più confronto
l'atteggiamento con cui mi oppongo ad altri;
questo mi allontana, per la verità, un po' da molti.

Meglio quasi soli
piuttosto che male accompagnati, amica cara?
Che sia così; vivere si può ugualmente, e forse meglio.

CCXXXVII

Scrivere è un po' costruirsi con i propri mezzi, soli;
analizzarsi a fondo prima, quindi
trovare il modo per uscire indenne

dal guasto che la vita porta dentro, e infine
inventar solo per te quella morale
che salta agli occhi nella riga successiva,

astrarre dal conflitto personale, e cioè 
vedersi come un gorgo dentro l'acqua
che risucchia al fondo dolore e impurità,

durare quell'attimo e ricomporsi presto
appena quell'evento è terminato,
tutt'al più ben sapendo che poi avviene

lo strascico, una lieve increspatura sopra il pelo.
Da torrente originario ci si accresce
col passare degli anni in grande fiume

dove i gorghi cedono alla corrente, per finire poi
sciolti nel mare, dove l'onda d'acqua tende all'alto.
All'alto.

CCXXXVI

Siamo ad aprile, scadenza semestrale,
cavalca in questi giorni la prossima mia crisi;
si annuncia prepotente, interessante
una tromba d'aria, forse mi porterà più in su.

La avverto dal lucore che ho negli occhi
dal brivido che si accresce per la donna
dai sensi che son come campanelli
dal cuore che, indomato, cerca te.

Stavolta parto, ne sono più che certo,
da quella originaria prima realtà 
ma credo di poter guidare il parossismo,
come vada vada, in neretto lo riferirò.

Trascriverò per me, di certo, convinto più che mai
che varando la barca senza scosse
e lasciandola correre leggera sopra le onde
ritornerà nel porto, ed io mi leggerò.

CCXXXV

Il secondo giorno di primavera
l'aria ronza della nuova vita
il tepore mi accompagna dal mattino
tolgo la coperta per la notte

indosso le fresche calze di cotone
un telefono che squilla nella via
al semaforo sembran tutti fermi in sosta
il vigile si sbraccia inutilmente

m'accendo allora un'altra sigaretta,
accidenti!, quella ancora va dal mago
poi sostiene che si trova nel Programma
forse vuole prendermi un po' in giro

quando dico che c'è attrito nel vararsi
poi rallenta perché l'acqua è da tagliare,
molti di loro mi riguardan sbigottiti
ma cosa ho detto?, era perché serviva a voi

poter conoscere altre vostre qualità;
ma me ne torno dalle capre nella stalla!,
almeno un po' di latte me lo danno;
ecco un guizzo dell'acrobata clownesco

che rimbalza sulle rive dei suoi mari
per tornar poi vestito tutto in oro,
se la prende tra le braccia, poi la bacia,
dolce aurora di una vita tutta nuova

che riappari ogni giorno nella mente
persino quando scrivo demenzialità,
complemento a me di un angolo perfetto,
tu che forse fuggirai perché da sola

crederai di realizzar la vita tua
e son certo che, se vuoi, ci riuscirai;
ma lasciami pensare spesso a te
dolce metà della tessera di un puzzle

stranamente incontrata in una vita
nella quale mi riconosco già al mio posto
insieme a te; qui di certo in due ce la facciamo,
unendo gli arti, a restare sempre in piedi

per poterci anche con gli altri carezzare,
darci la gioia che finora fu negata 
di aver rapporto per intero, essendo mezzi
e mai più mezzi rapporti credendoci completi.

Non è ancora ciclotimia, è tanto amore ancora.

CCXXXIV

Terza giornata di primavera
un portentoso sbràng mi accascia giù 
alle nove ho le gambe già spezzate
è lei, dapprima incede dentro il corpo;
tutto questo non lo ricordavo più.

La aspetta il ciclotimico la crisi
con grande senso di liberazione;
ritorna quel momento, anche per lui,
di utilizzare appieno la sua mente
vagando sveglio tra realtà e proprie visioni.

Io, cerco di non lasciarmi afferrare
del tutto appieno da questa eccitazione;
lasciarmi, insomma, un valido motivo ancora
per restare in contatto con il mondo intero,
senza appagarmi soltanto di sublimazione.

Forse è più semplice per me, lupo di mare,
viaggiare su una zattera, il Kon-tiki,
per verificare se trovo ancora quella sponda
ch'altre volte mi s'è offerta di salvezza;
basta crederci, il resto, in fondo, poi, non conta.

La mia Beatrice, ora, non so più se avrò con me;
proverò malinconia giù nell'inferno
ma tant'è; andando in solitaria
mille volti in più troverò vicino a me curiosi
se saprò farmi capire con la carta scritta.

CCXXXIII

La barca se ne va fendendo l'onde
sento già il frinìo  della cicala acuto
il Sole scende giù nell'orizzonte
la riva che mi appare è ancor lontana

il salto dei delfini mi accompagna
sotto gli ulivi tra un po' mi poggerò 
la vela rossa si tende con il vento
scende lo scuro sul mare che spumeggia 

alzo gli occhi a guardare le mie stelle
la mia Luna invece ancor s'asconde
ecco, è sorta, e si trova a metà cielo
poi, nell'alba, si sbiadisce piano piano

sorge l'astro e la riva è ormai vicina
scendo a terra ed ormeggio questo legno
sì, ci sei, lo vedo dal filo di quel fumo
hai preparato il nostro cibo, amore mio,

lavorati pani bianchi intrisi d'erbe
i tuoi occhi sono specchi per il Sole
le tue gote sono pudiche di candore
le tue labbra sono rosse di turgore

io le bacio e ti stringo dolcemente
tu mi baci, mi accarezzi con passione
insieme con me un volo di fenicotteri rosa
fende le profondità della tua vita.

sabato 26 luglio 2014

CCXXXII

Collera tremenda, devastante,
quella rabbia combattuta dall'incenso
è mia, finalmente, esplode tutta,

è il riverbero di un'ira contenuta,
l'ira di un demone, l'odio verso Dio,
Lo rispetto, ma qui trascrivo il senso percepito;

la voglia è furoreggiar con lame tra i mortali,
Caino dell'universo vindice di un'onta
che non ritrovo nella mente o dentro il cuore

ma nella pancia troppo vuota di sostanza.
Da cento anni non la placo come chiede
adesso è lei a far la padrona, maledetta.

CCXXXI

Entità ludiche e giochi di luci gialle,
fremiti profondi fino agli intestini

la mente si risveglia come diapason,
detta le sue sequenze a tutto il corpo

cresce l'immagine, si dipana il sogno;
nel collo cento fasci di energia

trasmettono dalla testa al resto, ai piedi,
mani possenti ferme come acciaio,

si stabilizzano le gambe, finalmente,
le tempie sono pulsanti, libere, efficienti,

la fronte è compatta come schermo ricettore;
mi muovo all'inizio della crisi attesa

non so poi se incomberà o se, invece, mi divertirà;
in tanto che i polsi scagliano sangue nelle vene

il cuore si è appartato nell'oblio;
la ragione segue attenta ciò che è,

i sensi mi si staccano dal corpo;
è un picco, deve andare dove vuole.

Sono tentato di sentirmi Iddio,
la Sua mano premurosa è sopra a me.

CCXXX

Guida di celeste raso a pavimento
all'ingresso due steli di avorio lucidato 

più oltre il percorso è laminato in oro
le quinte laterali a sfondo bianco

un'unica sfera al centro sollevata,
poggiata sul capitello in argento sbalzato.

Mi dà dolore l'essere trascurato ancora,
un giorno, forse, non ci farò più caso,

sarò lezioso e freddo come quell'ambiente,
una sagoma imbalsamata sotto un vetro.

Sai Baba guida.

Le religioni sono un'invenzione della mente,
l'unica vera religione è quella dell'Amore.

CCXXIX

Eventi, sostanze,
la vita si lima

sulle scabrosità del momento,
si scarna,

agganciandosi a rampini infissi
alle pareti del sentiero

sul quale vagolo, istupidito.
La vita si uccide con mille stolti gesti,

un addio, un saluto più fermo.
Questo è uno di quelli.

CCXXVIII

Si è rotto questo splendido incantesimo,
mi svegliava con il sole da tre anni
quel sussurrio della tua voce nel mio cuore;

ora è finita, quel che resta non lo so
di questa cosa che c'è stata tra di noi.
Forse, anche stavolta, riuscirai a spiegarmi.

Ma neanche di questo, forse, c'è bisogno,
non ti chiedo questo sforzo sovrumano;
c'è la faccio, anche da solo, a interpretare
il nostro incontro e questo scontro per com'è.

Se vuoi, te lo spiego in confidenza:
l'analista se ne va ma resta Diana,
ed è lei, tra noi, il pomo di discordia,

ognuno dei due solo per sé la vuole.
Vincerai tu, naturalmente, basterà 
che rifiuti quel che cerchi, una volta ancora. 

CCXXVII

Raduno di testuggini giganti nella testa
non so dove mi porterà questo mio scritto

se non m'istighi tu io resto fermo;
sono diviso da te da ieri sera

ma non temo di stare senza te, mi dico;
mi piange il cuore di perderti così 

per decretare cioè la fine dell'analisi
che è stata il pretesto occulto al nostro incontro;

perché con te non credo ancora all'amicizia
e sono travolto ancora da un amore

ch'è nato allora ed è cresciuto, poi, senza una fine;
ed è aumentato ancora dopo le tue righe

che mi hanno mostrato la sofferta tua visione,
giovane donna che resti ancora al buio

sapendo invece che strada hai da seguire
per manifestare appieno l'immaginazione 

che pensavo in te fosse già libera di zavorra inerte,
quella che ti impedisce ancora di manifestare
quel grande amore che porti nel tuo cuore.

venerdì 25 luglio 2014

CCXXVI


Domani è giorno d'incontro,
vorrei dirti dell'altro ancora, ma non ci riuscirò.

La malattia, ad esempio, infrange il desiderio sano,
quello d'amore: resta l'odio al posto suo.

L'odio tremendo per esser trascurato; è così.
E la forza mentale si concentra nell'offendere come si è stati offesi.

Ma cosa voglio sapere di più, anch'io;
così come l'ho inventata ci metterò sopra una pietra.

Le cicliche passioni, questa la traduzione.
Devo diventare altro da me, anzi consolidarmici.

Ma cosa vuoi sapere ancora, lascia fare,
ciclotimia, alcolismo, proprio tu.

Ci sei arrivato perché forse eri un poeta
ed avevi rimossa la tua malattia di sempre.

Ipersensibile, buono solo a ciarlare, anzi a comporre;
nenie, fin da bambino, per consolarti.

CCXXV

Sei tu il mio bersaglio e l'aria il tuo scudo;
ma se non agiti l'aria, se non diventa vento,
la mia freccia ti colpirà.

Se invece pensi che, restando immobile,
riuscirai a sfuggirmi,
sbagli ancora.

Scorgo di te più di quanto dovrei
se, come fai, rimani dietro un filo di paglia,
la tua falsa discrezione che ti consente di non reagire.

Sei alla mia mercé, e pur ti lascio andare.

CCXXIV

Una forza da delirio universale
quando sei così, dice Mariella.
Abbi pietà per lei, abbi pietà per te.

Forgia l'ultimo anello per chiuderla
la catena dell'analisi,
non mandare tutto a vacca, ci sei quasi!

Dopo cercherai Diana da uomo e
sarai pronto a perdere, come già sai.
Sommando le due cose, doppia delusione...!

Rosanna mi dice le stesse cose e, in più,
comprende la mia voglia d'operar lo strappo grande,
dall'analista e dalla donna,

perché il divertente è giocare il piatto grosso
senza smezzarlo in due,
indipendentemente che si vinca o perda.

CCXXIII


Rigurgiti boriosi si fan sotto,
fiale di fiele squagliato nella bocca,

in un minuto al gruppo faccio cinque lastre;
di vetriolo li cospargerei, nudi,

odio, odio, odio e odio ancora,
ecco quel che è, e lo vedo chiaro.

Non ho neanche il pretesto d'esser leso
e pur vedo la bava nelle parole altrui,

non cerco di destarmi, vado a fondo;
un'amica che ho per vicina ormai mi strippa,

ma credo che la mia testa tenga ancora,
in precedenti occasioni me ne sarei andato.

Anche la riunione è resistenza in gruppo;
restare fino alla fine, in fondo, vince.

giovedì 24 luglio 2014

CCXXII

Ho la testa sul cuscino ma, in effetti,
è un po' come poggiarla sulle tue gambe nude
per sentire meglio il calore della pelle.
Rientro in te se il volo eccedesse in vastità.

Sei seduta dietro me, dalle ginocchia
ti accorgi dei miei sforzi concentrati
che operano verso te come respingente
o un collegato traino di treno elettrizzato.

Guardando in alto, capto in verticale,
invio sguardi che salgon fin lassù,
devo mietere là risorse dal passato 
e dal futuro, che scritte son solo là.

Tu intercetti già dall'orizzonte
con il tuo sguardo pieno a tutto giro
nel tentare di scorgere gli influssi che mi arrivano,
nel tentar d'interpretare i messaggi che dipartono.

Quando mi sdraio vuole dire che mi arrendo,
a pancia all'insù riesco ancora a rovistare,
esponendomi appieno alla rovina 
del mio mondo, se questo viene giù.

Tu sei seduta ad assistere un mutante 
se sei fata o maga non è dato sapersi;
di certo sfoggi la tua aureola con merito,
non si può non dire a te la verità.

In due, le aure si fondono nell'organo
che provvede a penetrare la profondità,
e solo così poteva andare, se pensi
che quest'analisi è del sagace signor Freud.

CCXXI

"Lei non mi disturba mai."

Hai rubato ancora terra alla mia follia
la spiazzi come certo sai di tuo
come forse stai imparando anche da me.

Mi son lanciato sul pendio nevoso sopra la slitta,
la crisi mia incedente,
con freni non ancora collaudati
per esser anche altro che non ciclotimico per sempre.

C'eri tu al fondo e m'aspettavi pronta 
ma, anche volendo, non potevi più arrestarmi la discesa;
dietro te, subito appresso, il burrone, delirio universale.
La mia mente ingrippata voleva la mia morte.

L'altro da me, che insieme a te è rinato,
ha risposto appieno con inedito fulgore d'intelletto
e le esequie approntate dalla mente ottusa
sono rimaste parole vergate su un foglietto.

Non mi turbi più, son preda tua di guerra,
non mi turbi più, son preda tua d'amore.
Analista impavida, a te questa mia resa.

CCXX

Non scrivo, quindi
va tutto per il meglio, potrei dire.

Il fiume scorre dentro le sue sponde
l'acqua è imbrigliata e non tracima.

Poesia è trascendenza
vale a dir salire oltre;

quando il liquido dilaga dappertutto
e rischio di affogare

è l'albero piantato a fondo nella terra
che tiene all'alluvione.

E' infisso nel solido e l'acqua è follia che spazza via,
mentre lo scrivere è il montar su quella pianta, in salvo.

CCXIX

Quand'affonda nella melma, il lupo
morde la mano che lo afferra al collo,
per trarlo all'asciutto.

Riconosco la tua mano ora,
quella melma è il distacco che ci fu tra noi
ma ero nel panico profondo.

La tensione per la fine dell'analisi giustifica,
anche se non lo autorizza,
il mio gesto.

Mi hai insegnato a non aver sensi di colpa
ma già ho chiesto a Chi l'indicazione
per risarcirti del dolore dato.

Non sai con quanta stima.

CCXVIII

Mi sono arreso ed ho scritto, ed è la prima volta,
significa questo che mi fido di qualcuno,
per ora di te, e cominciare è già far molto.

Mi si è affidata da un po' parecchia gente,
fors'anche mia figlia e forse non sbagliando,
mi sembrò ovvio si comportasse anche lei così.

Io no, non ho creduto mai opportuno
consegnare ad altri la mia vita
e ho provveduto a cavarmela da me.

Con te la fiducia non è soltanto stima,
conoscenza, affetto e tutto quel che è;
so che penseresti più al mio che al bene tuo, talvolta.

Nel limite di quanto ci potrà star tra due
la resa e la fiducia l'un per l'altro
si hanno se si pensa meno a sé.

E' allora integrazione, è completezza ambita.

mercoledì 23 luglio 2014

CCXVII

Respiri profondi, sussurri, toccarsi
nel buio, nel sole 
lasciando che scorra incurante quel tempo

bruciante, più lento
ricolmo degli occhi tuoi
dei tuoi sorrisi

delle tue parole compresse, distese
questi eventi d'amore così attesi
rincorsi, cercati, disciolti

come colori sulla tavolozza
tanti, accecanti di bellezza
più del quadro, più della vita stessa.

CCXVI

Signore che non incombi nella mia vita
finalmente,
che non castighi e che non premi le mie azioni

che mi esimi dal giudizio tuo
che mi profondi Amore anche se non lo riconosco,
sostieni le azioni della mia giornata

se le compio in nome Tuo libero da egoismo,
accompagna l'operato del mio intelletto
perché possa essere di sostegno ad altri

lascia che la mia impurezza, conosciuta e combattuta,
sia positiva nel servire,
conservarmi imperturbabile dagli eventi

liberami dall'anelito alla Liberazione
affinché compia in serenità il mio percorso
innamorato di questa vita e di quelle che verranno.

CCXV

Ti apparirò pedante in questo scorcio di finale
riportando in questo modo sentimenti ed intenzioni
elucubrati a fondo.

E' questione per me di soffermarmi quanto più sullo specchio
per non procedere oltre conservando poi dentro
un'immagine distorta di quel che accade ora.      

CCXIV

Invasate sagome di genio
frustano l'intelletto pronto in parte
percorrono pensieri non usuali
si affacciano reali a questa vita.

Si condensano come vapori sullo specchio dell'anima
si congelano in cristalli iridescenti 
lasciano immoti i palpiti del cuore
resto imperturbabile come vuole Lui.

Fare versi non è lasciarsi trasportare
è addensare l'astrazione in poco o niente
è piantare il chiodo di un quadro già dipinto 
acciaio che fissa a parete quel che è stato ed è.      

CCXIII

Distesi cristalli all'orizzonte
lamine luminose
debbo passare queste sabbie
raggiungere quel luogo di magia

va fatto in fretta, il Sole scalda già
gli avvoltoi si levano, inseguono quest'ombra
voglio esser falco, lanciarmi su nel cielo
non voglio calpestare più la rena

mi specchierò dall'alto su quei cristalli stesi
e sfreccerò con le aquile reali
trasmigrando i deserti assieme al chiurlo forte
che taglia l'aria ai gregari beccaccini

le oche incontrando in formazione
arma da lancio, assieme, nello spazio
falco pellegrino di scogliera 
intrecciare il mio col volo dei gabbiani

rientrando quando torna primavera
unendomi alle rondini impazzite
schizzando raso terra come il tordo
frullando come starna via veloce

scortando, ancora, in alto le cicogne
e mischiarmi con le ibis bianche e nere
nel volo quieto che le porta verso il Sole.      

CCXII

Gesti intimi d'intesa
ci appartiamo dal brusio del mondo

ci allontaniamo scansandoci dalla confusa folla
per un'ora

presa per noi, aliti di vento
odorosi d'erba fresca, di sentor di fiori

ci mescoliamo morbidi e fragranti
sospiriamo segnali di tenero richiamo

non abbiamo niente più da immaginare
la gioia è lì per noi, la raccogliamo

succhiandola dalle labbra che si schiudono.    

CCXI

Questi testi non sono più voragini, che sta succedendo?
Per non lasciare aperto il controsenso
dovrei finir nel fondo dell'abisso
ma non so farlo, non ci riesco più.

Eppure questa crisi è già arrivata al picco
ed ho sentito la sua stretta, giorni or sono.

Ma tutto tace, tutto è silente, predomina
la quiete dell'attesa
di concludere l'analisi freudiana
di tenermi unito all'analista

la sicurezza di saper che c'è altro di me
oltre al ciclotimico/alcolista

e non mi aggrappo ad essere quel che ero
per dirmi con ignavia sono così tuttora
ma sono l'altro, in parte manifesto;
il resto arriverà, mi accoglierò nel tempo.    

lunedì 21 luglio 2014

CCX


Dove sono ora, chi son io, chi si accompagna a me?
Sono su di un ponte sospeso, appoggiato tra due montagne,
percorro l'assicciato di legno legato con cordame.

Non ho baratro sotto, è una verde valle,
lascio indietro una cima innebbiata, inebriata di fumi,
non vedo nulla attraverso la coltre, procedo

senza più ricordare alcunché, solo com'era, com'ero:
sono della vostra stessa carne
è il sangue è mite, vegetariano anche se

apprezzo sempre 
il caldo sangue ingurgitato a caldo e carne rossa,
resto un demonio ancora da assopire.

Dopo  un passo un altro passo
un'altr'asse dietro,
l'altra la supero con stento

con lentezza, per non scivolare;
la cima che ho di fronte è pulita
assolata, chiara, limpida, tersa.

Vorrei essere me stesso,
per adesso so solo chi sono 
ora scorgo me senza scompormi.

Non posso accelerare,
dopo un passo un altro passo 
un'asse in legno che segue l'altra ed

imperturbabile devo restare
come mi venne insegnato:
è la condizione imposta e lo so, non tremo,

non vacillo e ricordo te come posso quassù.
Il vento soffia tremendo 
la crisi in atto prova a scompormi 

ma il ponte è immobile
stabile
l'arco poggiato tra i due monti è un presidio dell'Alto.

CCIX


Al Centro il lunedì è dedicato a Dhyâna
Meditazione;
l'incenso si consuma, Annarita è qui.

Il piccolo tempio Lo ricorda in tutto
è stracolmo di piante dei devoti,
scrivo qui dentro, davanti a una sua immagine.

Chi sa che capirò, quest'oggi pure,
in fondo siamo radar in funzione,
forse ossidati, forse orientati male.

La colonna vertebrale dice sia l'antenna ricevente 
quella che, disposta in verticale 
intercetta l'Energia da più distante.

Nella lettura del giorno ci ammonisce: siamo prescelti
ad attrarre con l'energia di ognuno quella più occulta
per diffondere la Luce del Signore, con l'esempio.

Resto incantato quando parla e oggi di più;
stavolta si è incarnato come Sathya Sai Baba in Verità 
nella successiva discesa sarà Prema Sai Baba, l'Amore.
 

CCVIII

Arrivo a pensare d'essermi sbagliato
o d'aver trasferito ad altri questo ruolo
che m'offre di tender l'arco per transitar tra due montagne.

L'indicazione del mio risarcimento è questa,
quella d'offrir vantaggi nei due scambi
maggiore attenzione e certo maggior forza.

Posso attrarti con l'energia che celo
posso anche colmare l'aura tua se è scarna
ma sta più a te di usarmi come meglio credi.

Non essere imbarazzata verso me, se t'interessa
qualcosa di cui dispongo e posso darti
alle condizioni tue sfruttami a fondo.

Tutto questo mi lascia forza immensa, dentro l'animo.

CCVII

Una freccia infissa a fondo nella Luna
il tepore della legna nel camino
samurai arditi in lotta con la spada
l'addipanar dell'onda sotto riva
un demone con l'ascia infissa in petto.

Questi devo cercar, io l'ho colpito
e vaga seminando sangue e urla
per l'Inferno intero se ne va gemendo
celandosi nel buio delle grotte
deviandomi ai passaggi a lui più noti.

D'abbatterlo m'è stato suggerito
vampiro che tanta ne succhiò energia
a persona che non si vuole nominare
basta il suo nome per attrarne altri
disposti a morte per quel sangue che li inebria.

Diavolo d'un diavolo, demonio maledetto
ti chiamo con voce per poterti esorcizzare
proprio io, che più di te demone fui,
ti squarterò le membra, sbranerò il tuo cuore
col mio istinto felino che dall'eternità conservo

puma, e silenzioso per di più, tu fai baccano
neanche morire sai in silenzio, porco
inseguito da cànide, che ormai non molla presa
bianco lupo, in onor della sua grazia,
vampiro di una donna surreale,

e contro te si scaglia Herob
signore delle celesti schiere, e già dispone,
tu sei sfondato, vagoli nel buio,
l'ascia ti ha sfondato nel costato 
dal labirinto tuo non puoi scappare.

Nella spirale adesso ci vai tu
ti lascio dove sei solo per poco, ti scanno là,
ti seguo ad un passo col coltello in pugno
ti sgozzerò quando vorrai girarti
non affannarti a farlo, non ho premura
il fondo è chiuso, lo chiude la parete in roccia
giri il tuo volto, il tuo collo è qui per la mia lama.

La Luna dalla freccia ho liberato
crepitìo di rami e fumo resinoso
spade da guerra abbandonate al suolo 
scorre la schiuma del mare sulla sabbia
l'ascia riprendo e me ne torno in Terra.

CCVI

Finalmente un picco di rabbia!,
non mi sembravo poi così mansueto

ma dovrò farci il callo alla mansuetudine, potendo;
è una delle venticinque condizioni

per la realizzazione del sé divino.
Crisi mistica? No, prego.

domenica 20 luglio 2014

CCV

Il machete spacca ancora qualche testa
poco sangue scorre sulla terra brulla
rincorro trafelato due vampiri alati

sono stanco di queste storie truculente
voglio che l'Altro sia più dolce ancora
forse lo disarmo del coltello

meglio di no, ch'è cacciatore sempre
non si estirperà la sua tendenza antica
saprà inseguire anche a mani nude.

Come faccio ad essere mansueto?

Occorre un segno grande, questa volta
un lampo forse, forse di acceso genio
per capire che il Pianeta al suo tramonto

ammette le risorse spirituali
più ancora che la lama di un coltello;
le armi sono ormai da abbandonare.

All'alba si rivedrà se c'è l'Amore,
forse prenderò un posto anche per me
su questa sfera che vagola nel Nulla.

CCIV

Il mare, le reti, il pesce sulla sabbia
la sciabicata si scioglie sotto il sole

spigole e saraghi smazzati dentro l'acqua
la pietra è rovente, il fuoco ancora avvampa

il sale la cosparge e la fa bianca
adagio sopra pochi pezzi ben carnosi.

CCIII

Abbiamo inserito la parola/chiave, contro-transfert
il castello di carte crolla giù.

Ora sono sceso anche dal ponte
vedo i due monti che lo sottendono e vedo l'arco teso.

Sono sceso sul fondo della valle
non sarà certo di lacrime, questo no.

Ma inizialmente la depressione è assai opprimente
credo di aver smarrito non so più che di sostanziale.

Che farò poi per ora non so proprio
la ragion di stato ha vinto e brumaio non vedrò.

La rabbia pazza di non aver te si placherà 
riconosco a te grande professionalità e che lo fai per me.

sabato 19 luglio 2014

CCII

Il primo e l'ultimo stadio è l'Assoluto,
quello che apre, o chiude, il cerchio con il Nulla,
il quale, per definizione, è del tutto immateriale,
privo di materia, come, d'altra parte, lo è l'Assoluto stesso.

Entrambi, e non sono distinti tra loro, non sono percepibili dai sensi,
sono percepibili unicamente dal silenzio della mente,
quando questa è privata consapevolmente degli scambi sinapsici, elettrici
e quindi non viene attivata, supportata dalla materia sinapsica.

Raggiungere il silenzio della mente comporta
il primo contatto cosciente con l'immateriale
e consente l'immediata risposta alla domanda
Chi sono?, e la contemporanea risposta è: Nulla e Tutto.

Sentirsi Nulla è la partenza più agevole
perché consente di dirsi Sono niente, nessuno, non-sono,
senza che questo avvenga per umiltà e modestia affettate
ma per il fine di partire da zero, da prima che io fossi.

Pervenire alla coscienza di essere l'Assoluto, il tutto,
avendo alle spalle l'accettazione di essere il Nulla,
diventa un processo naturale guidato dalle graduali 
prese di coscienza che si susseguono praticando il silenzio.

Il silenzio ritrova il Silenzio circolarmente
ed il Nulla e l' Assoluto sono unitamente apertura e chiusura del cerchio,
mentre la linea di circonferenza è lo sviluppo della vita sensibile,
nelle sue infinite evoluzioni e adattamenti.

cicli, o cerchi, così impostati, sono infiniti anch 'essi,
si svolgono in infinite realtà parallele;
si può anche dire in infiniti cosmi infiniti ubicati chissà dove.
È il Ciclo della Vita che si ripete incessantemente.

Noi siamo pronipoti dei nostri progenitori 
e contemporaneamente progenitori dei pronipoti che seguiranno:
la nostra evoluzione si trasmette per via coscienziale,
scaturisce dal Silenzio, può rientrare nel Silenzio, senza interruzione alcuna.

Il procedimento di Autocreazione promana dal Nulla/Assoluto
attraverso la vibrazione, un suono per intenderci, originata dal Silenzio;
pertanto dal vuoto del nulla Egli provvede alla edificazione del tutto.
Il Silenzio è la originaria fonte della vita sensibile.

E nel processo di Autocreazione così originatosi
il Nulla/Assoluto intervengono come fossero polmoni in crescita
che si dilatano e si contraggono alternativamente 
senza mai sopraffarsi reciprocamente: è la Vita.

giovedì 17 luglio 2014

CCI

Luce sia.

Comprenderlo ed attuarlo è sovrumano,
è la scoperta più recondita che abbia l'uomo da compiere;
appartiene, come campo di indagine, al mondo dei
quanti e anche più giù, al sottile invisibile.

I quanti ci dicono che la materia quantistica
ha il dono dell'infinità e dell'ubiquità,
ma non sarebbe ipotesi stramba
ridurre a un solo quanto l'attore della vicenda.

Uno, ovunque, ubiquitamente ubicato nell'infinità degli infiniti cosmi infiniti
e l'Uno che è Tutto è Dio, anche se non è ancora l'Assoluto,
dal momento che il quanto è ancora materia,
una volta di più, ed è infatti materia energetica.

L'Assoluto a sua volta è privo di materia,
ne è completamente privo, e non può  essere energia;
anche se questa è rintracciabile al livello divino, ma è materia.
L'Assoluto pertanto non c'è, per i nostri schemi mentali non esiste.

E neanche, molto semplicemente, può esistere sotto una forma.
Se non c'è Assoluto, va inventato cioè trovato dentro, nonché
scoperto cioè tirato fuori, estrapolato dalla interiorità nella quale risiede.
L'Assoluto è la concrezione informale di un difficilissimo processo

che la mente umana può riuscire ad intraprendere, quando ne ha lo stimolo.
E lo stimolo, parte dalla domanda chi sono io per approdare alla
risposta:nessuno. Allora e solo allora sono anche Assoluto,
ed anche il Tutto ed anche l'Uno nelle loro rispettive formalizzazioni.

Assoluto è colui il quale, essendosi interrogato, trova questa risposta;
e quanti altri che, come lui, hanno affrontato la questione, la domanda,
dandone la concordante e universale risposta: io sono Luce, perché 
l'Assoluto portato alla luce è la Luce, infine, e non ha forma alcuna,

e il più delle volte è irriconoscibile dai più, perché è anche nessuno.

mercoledì 16 luglio 2014

CC

Luce non fu.
Le flashate  abbaglianti del fuoco di ceppi 
non furono luce,
soltanto un suo riverbero.

E così per la lampadina,
e così per i fari antinebbia.
Luce non fu perché, in effetti,
nessuno, mai, la evocò.

Fiat lux vale anche meno
del detto secondo il quale 
la legge è uguale per tutti. 

Pentiamoci amaramente per le occasioni smarrite
e proviamo a non smarrirci ancora e ancora e ancora
come fa il gregge,
fatte salve le bestie.

CIC

O tengo duro o schianto
sono ancorato a questi scritti,
proprio da questi e non da altri,
alla realtà.

Contenermi in terra è la difficoltà,
di queste righe a voi legate sempre 
proviamo a farne prova generale
dopo tant'anni che poesia eri tu.

Il transfert mio lo dò per buono
ma, sappi, debbo mostrare
a quest'uomo, non sorpreso dagli eventi,
che è successo comune, se ci si accetta per quel che s'è.

martedì 15 luglio 2014

de l'ANALISI.


Avevo giurato a me stesso che te l'avrei strappata,
quella maschera che mostravi, di distacco finto,
che riservavi al tuo sguardo
quando mi proponevi la terapia di supporto, o, meglio,
una analisi vera e propria.
In camice bianco, eri seduta dietro una modesta scrivania
nello studiolo modestissimo in un piano qualunque
di uno dei mille palazzi che affacciano
sulla barocca via Nomentana, all'inizio, presso Porta Pia.
In camice bianco, il tuo corpo a stento raffreddato da professionalità,
si esprimeva sempre nel calore mal contenuto degli occhi,
specchio dell'incendio della tua anima,
rivolta a me con dovizia di intenti;
e avevo torto a credere così.
Era invece una sfida d'amore, che accettai.
Mi avresti donato la soddisfazione che cercavo solo pochi anni dopo,
due soli giorni prima della conclamata chiusura dell'analisi,
una sera in una cena di gruppo
quando attraverso i tuoi sguardi mi offrivi, trasparente,
l'osservazione della tua anima: eravamo pari,
tu ti offrivi a me così come mi ero offerto a te,
ero oramai tuo simile ed era quello il tuo consapevole riconoscimento.
Poco dopo l'inizio delle sedute una crisi più dura mi dissociò in frammenti
e dimenticai l'esistenza di Lorenzo.
Fui contemporaneamente allora padreterno, e Cristo, e Herob,
e mio padre Alessandro, e il titolare della clinica di degenza,
e il direttore ed il primario nonché mio zio Decio martire.
Gli psicofarmaci non bastarono, ci volle l'elettrochoc.
Venivi a trovarmi di pomeriggio, il transfert già esploso si consolidò.
Tentai di sedurti con l'offerta di funghi e petali di fiori trovati nel giardino,
fosti l'unico umano riconosciuto in quel soggiorno.
Il tuo fascino era marcato da attillati pantaloni a strisce verticali
bianche e nere
dalle quali trassi ispirazione per l'ibis bianco e nero e lo scialle a strisce.
Per te decisi di rientrare.
Eri oggetto di fantasia amorosa vissuta come realtà 
e fosti capace di liberare l'immane quantità di immaginazione illusoria
durante quel fervido periodo.
Ti ricordo come una vera bomba, una di quelle che riescono
a far esplodere l'incendio di un pozzo petrolifero.
Eri bellissima, dentro e fuori, fu questo il primo elettrochoc.
Mi amavi, questo fu l'altro elettroshock.
Decisi di rientrare.
Riprendemmo l'analisi, nel tuo nuovo, confortevole studio,
la scrivania sempre caldamente ingombra.
Ci siamo studiati, le mie mosse erano chiare, aperte, anticipate,
portavano dappertutto.
Mi hai seguito, coscientemente incosciente, in dimensioni a te estranee,
certo a me più congeniali.
La follia, la mia follia, fa fuggir via.
Per spiegare a te o nel vederti in difficoltà, mi sono dispiegato senza riserve
e senza più accettare la seduzione dell'illusione:
avevo te reale da difendere e da conservare.
L'analisi è stata la nostra coalizione sospinta da reciproco amore,
si è resa concreta opponendosi alla iniziale prepotenza
di una mia illusione,
che doveva essere infranta assieme.
Due contro uno.
Aspettavo un tuo segnale d'amore per essere certo 
della risoluzione della partita
ed è arrivato, l'altra sera a cena.
E' un piacere, giocare con te.

CLXXXXVIII

Strazio di pianti dinanzi all'Offertorio
io lacrime niente, non le so versare
piangevo una perduta identità 
ne sono uscito ritirando due rametti.

Piangevo la storia oramai conclusa
con una bambola dagli occhi di smeraldo;
la nostra non è che sfida, m'aveva già avvisato,
aggiungendo la mia intenzione è di distrugger te.

Ho il suo ombelico ficcato dentro il cuore
il pelo delle ascelle, la sua lingua
non è da me reggere scontri con Francesca
vince l'amore sì, quando è ripartito.

Deve esserci il momento dello strappo
quello del cuore, con il corpo son lontano;
implorerò al vento mi sia restituita
ma, vedo, c'è troppa acqua sotto i ponti.

E implorerò per notti e giorni,
per un anno, perché non mi sia vicina;
non è un fantasma, è realmente donna,
ottenga anche sempre quel che cerchi.

Morte di un poeta.

Da buon compulsivo
ho trovato subito l'escamotage
per tornare almeno ad una mia sostanza,
lo scritto.
Anche se in prosa.
L'altra sostanza, la analista,
sarà sostituita dal rapporto che,
con buona probabilità,
continuerà ad esserci in forma di conoscenza, se non di amicizia,
impossibile da trovare e così difficile da conquistare.
Per lei, muore un poeta, altra sostanza
e non era soltanto il sogno di questa vita,
uno di quelli che porto in me e che, mi auguro, non unico né ultimo.

Quando svanisce il sogno, svanisce chi lo produce, in poesia.

Gli altri artisti che porto dentro, occulti e manifesti,
soffriranno per questa mancanza.
Ma, si sa, la vita è un gioco.
Ed è di più, è una sfida.
Scompaiono Herob, Lupo Bianco, Puma Silenzioso
e rimarranno accanto a Falce di Luna, Ibis bianca e nera,
Diana, la dea armata,
nel mondo di fantasia che per loro ho inteso costruire.
Lorenzo fa suo il suggerimento di una dolce amica
per la quale talvolta c'è amore anche quando
il massimo della gestualità 
si esprime
con il delicato picchiettare dell'indice sulla tempia del cuore.
Vi abbraccio. 

CLXXXXVII

 Chiude il sipario e il menestrello se 'n va cantando
è il momento di porre fine al gioco
che lo vide attore dalle prime mosse
e che  tanto gli ha concesso, offerto in volo.

Emozioni al cuore e fantasie alla mente
non puoi dire d'avermi risparmiato,
d'altronde la situazione, così tu dici, lo chiedeva
se sono stato ambasciator di me non porto pena.

Conoscerò altri cantori oltre nel tempo
gareggeranno nell'esprimersi possenti
anche per loro ti ringrazio di esser prua
d'esser d'acciaio, d'aver scelto d'arenarti qua.

Potevi proseguire sola il viaggio
ti avremmo inseguita per l'immenso mare
ma a ridosso di tre scogli ci hai arenati
la nostra Terra è appena un po' più in là.

Stella Amata lasciala in dono al Cielo
ne sapremo fare l'uso che vuoi
i tanti artisti che ancora sbocceranno
la avranno di riferimento per la notte.

Non so che dirti più, mi stacco adesso;
lasciami, se vuoi, due righe tu.

"Non smisi mai di soffrir per un fantasma;
mi è accanto Stella Amata: mi troverete, Falco, accanto a lei.".

lunedì 14 luglio 2014

Sai Baba guida

L'uomo merita un certificato di buona salute solo quando
è conscio di tutta la sua realtà e, lietamente, si sforza di raggiungerla.
Invece oggi, pur essendo il Figlio dell'Immortalità, è ridotto
ad un impotente relitto travolto, in direzione della Morte...!
Quale destino impietoso è mai codesto!
Il piccolo ego che è in lui è spinto verso una gigantesca deflagrazione
sia dalla mente che dai sensi, in un immenso incendio d'angoscia.
L'egotismo gli fa vedere gloria in ogni qualsivoglia risultato meschino,
nelle acquisizioni più insignificanti; lo fa gioire di un poco di autorità 
momentanea su altri, proprio mentre l'Immortale che è in lui attende
d'esser ritrovato, per donargli felicità eterna e per liberarlo dalla ruota
delle nascite e delle morti.

CLXXXXVI


Scrivere, quanta malinconia 
riprender quella penna e quel taccuino
per seguire l'immaginazione
tanto spesso imbrigliata, annodata a caso.

Certo, dopo essersi ustionati
è d'uopo riaccostarsi al fuoco vivo
per riscoprire il giusto lenimento
e non serbar paura.

Ora, però, non so cosa dirti
nemmeno cosa fare; inseguo la fortuna
sperando che a sua volta insegua il tempo
mi trascinerà lui fuori di qui.

Ho portato con me il volume quarto
duecentocinquanta scritti press'a poco
novanta giorni di lavoro audace
ho finito ieri, appare una collana.

Chissà se si potrà mai pubblicare
la mia ambizione non sembra dire no
ma credo sia almeno servito in parte
a farmi conoscere da te per quel che sono.

Lo conoscevi già l'animo che avevo
solo per questo mi hai accolto tuo paziente
mi hai trattenuto, sì, dopo il misfatto
di quella crisi che mi dissociò.

Ci auguriamo non tornino tempi acerbi
oggi mi proponi lo psicologo/psichiatra
e ne convengo, perché no, sono d'accordo
purché almeno sappia anche lui cos'è l'alterità.

domenica 13 luglio 2014

CLXXXXV

Ricorda che inseguirmi
non è facile
mi celo, nelle notti, dentro il buio
offrimi tu pretesti, per soffermarmi nella luce tua.

Mi abituerò, se Dio vorrà,
ad avere occhi attenti alla realtà che narri
mi avrai reso un servigio
per il quale sarò pronto al vero scambio.

Ricorda a te che t'amo
e che troverò forse anche una donna
ma di te sarò geloso anche del gatto:
tu, con serenità, mi smonterai.

Non agisco spinto da convenienza
ma da quanto credo giusto fare
chi sbaglia con me basti si scusi
come fai spesso tu con onestà.

Di più, pianto in asso quando voglio
inseguendo miei criteri personali 
e questo accade quando malafede
si fa lebbra in quegli che ho vicino.

Sono un due, mai un primo,
è la postura  a me più congeniale
non sapendo trarre gioia dai successi
gioisco il doppio se ne gioisce altri.

Dammi amore e amore e ancora amore
chiuso in un gesto, un complice segnale
in un tuo sguardo, sedendomi anche accanto;
e se ridi di me anche con me, mi basterà.

Riconoscimi ciò che il merito mi assegna
ma, anche, urlami se vuoi e a piena voce,
se non amante prendimi fratello
le vie nel mezzo non le rispetterò.

CLXXXXIV

Essere amico con la donna è cosa nuova
anche se comincio ad averne anch'io
di donne che hanno la mia età
ed intreccio con loro amicale relazione.

Sono burbero, scontroso e attaccabrighe
quando reagisco ad una provocazione,
se mai dovessi portarmi in un salotto
legami e imbavagliami con cura.

Sono bugiardo, quello che ho scritto
nei versi soprastanti non è vero
diciamo che sono ambiguo come l'eclettico
e, come una donna, mi rivesto di mistero.

Son quel che sono e migliorerò 
sai già quanto profonda è la vista mia negli altri
come tutti sono anch'io la punta
di un iceberg che affiora piano piano.

Ho mille qualità, son tutte buone
il male è del bene la deformazione
quando reagisco al male faccio gran male
se cessa il male, allora cambierò.

Se qualcuno ha scelto me, con te, con tanti altri
per dare aria a queste forze occulte
per dare luce alla via che è della Luce
mi unisco a te se vuoi, viaggiamo assieme.

CLXXXXIII

È il primo di aprile, almeno un verso
uno di quelli che restano nella storia
che a imitarlo ci si mettan tutti
"Oh!, d'amor leggiadra, m'appesantisci il còr!".

Ti ho portato stavolta dei narcisi
del colore che più piace a me
gialli e non alludono più a niente
siamo noi narcisi e lo sappiamo ormai.

Nello studio mi hai fatto ritrovare
un altro mazzolino ch'era lì
hai voluto far notare la tua finezza
e i miei sguardi finiscono su te.

La ricordi la notte della luna piena?
Era Natale, l'alberello in casa tua adorno 
e mi dici "Guardi la Luna quant'è bella, avanti a lei!"
ma non c'era verso che la scorgessi, enorme, avanti a me.

In due anni e poco più di terapia
da bravo bisonte ho sfondato proprio tutto
a volte mi sorge legittimo quel dubbio
d'essere aizzato da tuoi dardi in deretano.

Mi porterai a visitar più in là quel tuo studiolo
ci scambieremo due chiacchiere animate
e guarderemo insieme fuor dalla finestra
vedrai, l'impaccio di paziente svanirà.

Ti porterò a cena quando lo vorrai 
leggerò per te poesie che tu saprai
godremo assieme la quiete dei silenzi
l'impaccio dell'analista svanirà.

Lavoreremo per pubblicar la relazione
sul tavolo tappezzato da scartoffie e fogli
ci guarderemo negli occhi stanchi di lavoro
e transfert e contro-transfert svaniranno.

Resteremo affettuosi compagni di cammino
ed il nostro bagaglio via via s'accrescerà.

Ricorderò un lettino costrittore 
e il tanto amore, il troppo amore, il solo amore.

sabato 12 luglio 2014

CLXXXXII


Sono mutante e l'estasi è profonda
quando si nasce già avanti nella vita 
e da tre anni muto, ho disertato l'alcol
ora ci provo con la ciclotimia.

Servono farmaci, litio, è verità 
racchiudono la mente nel recinto
riducono le sortite circa di un terzo
di andarti a cercare l'illogica spirale.

La mente è un cavallo assai irrequieto
e il recinto può saltarlo quando vuole.

Vivere confinando la follia è tutt'altra cosa
appena entrato nella crisi l'ho osteggiata
dapprima ero altri di fronte alla spirale.

Per ora son sereno, rilassato, senza paure
anche se, in fondo, non ne ho provate mai
basta per questo l'efficienza non più drogata d'ansia..

Sto anche cominciando ad aver ciò che volevo 
farmi capire cioè da quelli intorno
un paio di persone a cui parlare, in fondo.

Non credo pubblicherò questo mio scritto
non significa granché poi per nessuno
solo per me può avere senso dirmi nasco.

A te analista rimane il merito
di avermi illustrato quel che ero e poi l'alternativa
rientrar nel guscio schiuso oppur volare.

venerdì 11 luglio 2014

CLXXXXI

Quadrati bianchi e neri
disposti in diagonale scacchiera a pavimento

innalzano, ciascuno, dall'epicentro
la perpendicolare al cielo

sì, come colonnato di raggi luminosi
sul quale si proietta intersecandosi

la sagoma di un vano a volta piena
accesso dall'esterno all'edificio

che spezza la figura zenitale
per ricreare un percorso illuminato

che da solo percorro in quella luce
nei pochi metri che mi separano,ormai sveglio,

riservando la scultura triangolata in fondo
a me solo per andarmene radioso.

CLXXXX

Ho dentro barbaglio d'acciaio
e schegge di vetro
crisalidi fermate con gli spilli

bianche lenzuola schizzate con la china
stese e sbattute e lacerate al vento
copertoni squartati e parabrezza infranti

a cercar collimazioni con le stelle
buste di latte spaccate col machete
e non piangere sul latte ch'è versato

oscuri allineamenti di energia
la matassa della mente si riforma
traduco il senso, non certo le impressioni 

visioni arrotolate su di un fuso
rotaie di spinato filo di ferro
dovrei cessare di aggrovigliare tutto

ma lascio fare, altre possibilità non ho.
Passano motorette, il metrò, tutto si muove ancora,
sbatte una portiera, il mondo allora gira

nella domenica di pace e degli ulivi.
Dura già da un minuto il cedimento,
la signora in rosso mi avvince sempre meno.

CLXXXIX

Quattro giorni all'alba e finisce il militare
la ferrea disciplina ha funzionato
quando volontà si asserve alla ragione
si diventa quel che s'è e si lascia il vecchio.

Quelli che smussano mi lasciano un sorriso
dicono il carattere non si può cambiare 
ma cos'è allora questa forza dentro
quando prima mi vergognavo, anche, di me?

Lasciatevi guardare, pollastrelli
appagati da due zampe articolate
mi dite: "Cammino!, che altro puoi volere?!?"
e siete carcerati in una rete.

Avete le ali, non sono di abbellimento
non da sbattere per attirare una compagna
o da mostrar spiegate per rintuzzar l'attacco ostile
ma per vedere la Terra ridotta a lenticchietta, giù nel basso.

giovedì 10 luglio 2014

CLXXXIII

Noi non migriamo più 
per altri mondi
ovattati di follia che c'inventiamo
per non saper rispondere

alati
alla bassura, sola legge sulla Terra

sopravvissuti
all'appiattimento del libero pensiero

realisti ancora
all'invenzione della Storia Umana
che si veste, sempre ormai, di falsità 

noi non migriamo più 
come quaglie decimate dalle rose
in cerca della quiete per un nido.

Noi rimaniamo
a rammendare, anche, quella mortale ragnatela 
che infrangiamo volando.

CLXXXII

Qui, in questa realtà primaria
dove vivo da giorni quest'altra mia crisi
hanno ancora voci gli uomini

hanno ancora contorno le figure
che non si innalzano più, inerpicate
sulle scale mobili dell'illusione svolta

lungo i pendii del monte
scabro e fisso a terra come pietra
che a me appariva ascesa all'Assoluto

per pervenire, dilatate in prospettiva,
al picco della cruda trascendenza falsa
deformazione in sostanza del pensiero

oltre che di forma, all'apparir d'illogici
moti svuotati da gesti defraudati
risa stentate che opprimono il palato

abbracci impulsivi raggelanti a morte
fischi canori leganti come colla i denti
ricordi di passate uscite fuori

che tornano a eccitare ancora i sensi
poveri mezzi miei che si combinano
per farmi palpare il buio, che trapassavo cieco.

CLXXXI

Stasera sei bellissima
i tuoi sguardi più sfrontati dei miei
i tuoi occhi sfacciatamente oro.

CLXXX

La eco delle mie vibrazioni
rimbalzerà 
ancora per poco, per molto ancora
tra le pareti con il lettino al centro
la libreria, la scrivania, la tua poltrona.

Si smorzeranno lente,
più veloci,
incrociandosi con le note pulite
della tua soffice voce,
in prima linea sempre.

CLXXIX

Frinii rispettosi di cicale e grilli
immersi nella distanza
gracidii lontani
ottusi, soffusi, diffusi in questa notte nella quale mi libero.

Era uno stagno di ridotte dimensioni
mi appariva il mare.
            
        Non essiccarti ora, non evaporare
        lasciando dietro sabbia da calpestare.
        
        Aspettami.

        Lasciami sprofondare nudo dentro di te
        sommerso da centinaia di metri d'acqua
         
        tua, salina, purificante.

        Lascia che riemerga con l'astro
       nella prima alba della mia vita 

       per scaldarmi al suo incendio dopo otto lustri
       di torpore e d'insonnia, di inedia svogliata 

       ed urlare a squarciagola come un pazzo
       che sono pazzo d'amore

       per la donna che amo
       che amo che amo che amo

       ora che so cos'è l'amore
       ora che so cos'è il silenzio.

Sai Baba guida.


Da: "Cosa è la verità" (premessa).

"Verità è anche la natura autentica di un uomo,
che verso sé stesso è falso
quando manca alla sua natura essenziale.".

giovedì 3 luglio 2014

CLXXVIII


Appartenere all'armata celeste
non è fregio né disonore.

concerne la scelta di ognuno
e per ciò è soggettiva;

tutto è in relazione, e cioè 
rimane, a discolpa, relativo.

Ma abbiate timore dei giusti.

CLXXVII


E' lilā, è gioco divino
affidato all'ingegno

di pochi poveri che esulano
senza trovar patria

viandanti dispersi
sul pianeta ch'è loro

a dispetto dei re.
I mahatma, le grandi anime.

CLXXVI

Voi non potete bere
non ne uscireste più 

quando vorrete salvarvi
non sarà sufficiente l'oblio

ci vorrà il vostro impegno
da noi rispettato. 

mercoledì 2 luglio 2014

CLXXV

Mahatma oscurante bellezza
è una sacra dolcezza
dall'alto a parlar deputata
al sofferente inibito

ed avvampi ogni volta.

Come segno a me noto
sei costretta anche tu
e non volontaria
mirabile donna dal sorriso che incanta.

Costretta ad espanderti nell'altro
perché 
non c'è più spazio in te
per la tua Grande Anima.

martedì 1 luglio 2014

CLXXIV

Calo giù come fiocco di neve
l'ascensore mi riflette senza più misura
temo di sciogliermi arrivando a terra.

Giù il mondo mi appare sempre uguale
sono io solo più solo adesso.

Il mio corpo è ancora lì disteso
e vago come un ectoplasma
alla guida non sono io.

Due o tre caffè e poche sigarette
riprendo i sensi e ancora una volta ricoloro.

Ho partorito una palla di fuoco
energia latente dello stomaco
mi rendo conto adesso ch'è finita.

Mi resta la poesia
questa poesia splendente
che Iddio mi ha regalato.

Continuerò con lei come mia sposa.

CLXXIII

Si delizia a canzonare anche il poeta
a lanciar strali come tutti voi
più diretti a sé che non ad altri

per ridar mito a questa vita strana
risorgere nel pensiero e non nei gesti
creare condizioni visionarie

da tradurre poi nella realtà 
precedendo con lo scritto il tempo
modificarlo ancor prima che verrà 

e segue attento i segni della notte
per restituire nome e volto interi
a seduzioni subite nel passato

a miraggi che si porta dentro il cuore
a malinconie dell'amore ch'è già stato
ad attesa per quello che verrà. 

Sai Baba guida.

Non gonfiatevi mai
quando vi lodano
e non deprimetevi mai
se vi biasimano.
Siate come leoni spirituali,
incuranti della lode e del biasimo.
La cosa più importante
è saper analizzare sempre
e correggere
i propri difetti.

la Poesia.

dal saggio "La muraglia e i libri"
Jorge Luis Borges (1899-1976)

"La Poesia è l'imminenza
di una rivelazione che non si produce."

(Ma la rivelazione che si produce
è conseguenza di ... Poesia!)
(l'autore)

lunedì 23 giugno 2014

Miseria e Nobiltà.

Un aneddoto.
Enrico Guerriero, basterebbe il cognome, fu, per anni, l'uomo che
più di ogni altro
mi sollecitò a cercare la strada
in quel suo salone interrato pavimentato con la moquette per non gelarci i piedi
d'inverno
ed attutire i colpi delle pratiche fisiche che eseguivamo;
luogo di riti antichi, di silenzi protratti, talvolta, fino a raggiungere
anche il silenzio della mente da parte di alcuni dei cinquanta presenti,
schiena al muro e gambe incrociate. E le sue parole che, ad ogni incontro,
e ne avevamo tre a settimana, ci stupivano per conoscenza e profondità,
facenti riferimento ad una mole impressionante di comunicazioni e 
di interventi, di chiarimenti insomma, che senza sforzo riuscì a darci,
prima di volare oltre.
Una sera apostrofò due amiche del gruppo che portavano
calzini spaiati di diverso colore, dicendo ad una delle due
"Tu non puoi portarli spaiati, la tua amica si!"
il che ci apparve come una di quelle asserzioni più simile ad un
indovinello orientale così irrisolvibile per noi occidentali
piuttosto che un rilievo di natura estetica;
si spiegò subito dopo sostenendo che l'una li aveva indossati con la 
consapevolezza che fossero spaiati, mentre l'altra per la confusione che
aveva nei cassetti dell'armadio, e distrattamente, con sciatteria.
Era in grado di vedere la consapevolezza altrui e il livello che questa raggiungeva
in chi gli si presentava davanti
e risvegliava in noi la attenzione, la presenza a sé stessi nelle nostre teste
rese dure e insensibili perché assediate dalla mentalità,
fino a quando non vedeva in noi l'impiego e non più 
la stagnazione della mente, per farci proprio arrivare al dubbio
esattamente come invita a fare Cartesio con il suo "Cogito ergo sum"
al quale non sarebbe pervenuto se Hume non avesse precedentemente
asserito "Dubito ergo sum", laddove è proprio il dubbio che frantuma
la ottusa e rigida mentalità per approdare al pensiero libero da schemi,
alla congettura, al ragionamento, alla osservazione acuta e fluida.
La goccia d'acqua fora la roccia, la roccia non può forare l'acqua.
La goccia d'acqua fluida fora la rigidità del ghiaccio.
Il fluire dell'acqua più sottile cioè il suo invisibile evaporare,
il terzo stadio,
solleva tonnellate d'acqua dalla superficie del mare non percepibili
con l'occhio: l'intuizione, l'improvvisa illuminazione, 
che si nutre del libero pensiero,
quello che, pur non vedendo, legge, come solo un matematico sa fare,
con la sua scienza esatta, più di altri, scienza che è da sempre
supporto indispensabile alle altre scienze, fisica, chimica, astronomia
ed alle arti, musica, danza, geometria che disegna figure innaturali,
alle altre arti raffigurative, pittura, scultura, fotografia, 
pervadendo ogni attività umana completamente.
La matematica come scoperta originaria dell'uomo che consente
speculazione all'intelletto.
Miseria e nobiltà, la miseria del bevitore che non si riconosce alcolizzato
e la nobiltà di uscirne giorno dopo giorno; la miseria del disturbato di mente
che non può vedere la follia che porta con sé e la nobiltà di arrivare a concepirsi
soldato semplice e non Napoleone, rimettendo infine i piedi per terra.
Fluire nell'acqua che risveglia, respirare aria ripulita da suggestioni malate,
farsi fiamma sapendo che il Sole non è ancora Luce,
rincorrere l'incontro con la Luce e, incontrandola, saperla accogliere
senza timore o esaltazione, convinto che la spiritualità individuale
che si fa Luce è già Luce.
E' l'Assoluto che travalica i distinguo e le differenze, 
l'Uno ed il Tutto simultaneamente,
il Così sia, quasi imperativo,
che cancella il così è stato, il così è, il così sarà,
l'eterno presente simboleggiato dalla Ohm
che inchioda il tempo
lasciandolo apparentemente libero di scorrere nello spazio
che si rattrappisce nel vuoto, anche se non lo si percepisce.
La teoria degli opposti
dell'Uno e del Tutto apparentemente non conciliabili,
dell'Uno e dello zero
principio della coesistenza del materiale con l'immateriale
supporto unico ai fini della concezione di elaboratori meccanici
ai quali non potremmo concedere diversa impostazione.
La incongruità che scaturisce dalla moltiplicazione di qualsiasi
numero per lo zero e che riproduce implacabilmente
il medesimo risultato, il nulla,
a conferma della espansione e della contrazione che contraddistinguono
i continui assestamenti degli infiniti cosmi infiniti
che solo pochi riescono a indagare
e sempre impiegando la matematica come supporto di indagine,
incontro-scontro che azzera certezze
il conosciuto ed il conoscibile varianti precarie
soggetti alle formule che definiscono le Serie Infinite, espedienti che
consentirono ad uno di noi di approdare alla definizione di energia ed alla
individuazione, non solo teorica, di elementi caratterizzati da una sola 
peculiarità,
quella dell'ubiquità: il singolo quanto, ed è accertato che sono 
di numero infinito.
L'uno e il trino è già provato scientificamente, così come l'uno e il settino,
l'uno e il centino, l'uno e l'infinito o il tutto.
Ciò ha consentito a guide illuminate di dimostrare con dati certi
quanto già avevano conosciuto per via intuitiva, l'esistenza cioè 
di più stati di realtà.
In virtù dell'esistenza di infiniti cosmi infiniti è lecito supporre che
i testi della Cabala
Vadim Zeland con "Lo spazio delle varianti", "Il fruscio delle stelle del mattino"
e "Avanti nel passato"
Choelo
La Bailey con il "Trattato dei sette raggi",
le Guide, che dapprima avevano definito con rigore scientifico sette stati di realtà,
successivamente ne tracciano altri tredici
per i quali stanno aspettando che la comunità scientifica li raggiunga per le
certificazioni,
e ne hanno in serbo altri mille, e la loro supposizione è che esistano infiniti
stati di realtà che vanno a costituire, assieme, la Realtà che stiamo cercando
con foga un po' tutti.
Ma la matematica ci permette anche di leggere le vibrazioni,
di misurarle, di modificarle,
di adattarle per infinite modalità di impiego e
ciò che non vediamo e non sentiamo e non udiamo, 
non annusiamo e non tocchiamo con mano, ebbene,
questo viene portato lentamente alla luce,
come si fa con uno scavo archeologico, procedendo cioè per strati.
Un po' come defoliare un carciofo, senza però arrivare mai al cuore.
 

domenica 22 giugno 2014

de l'ALCOLISMO e la BIPOLARITÀ .

Cara Francesca, ti ringrazio molto per quello che fai per la miglior
riuscita del seminario.
Devo confessarti la mia felicità nel leggere le parole scritte nel tuo 
commento; innanzitutto perché hai colto appieno lo spirito che 
aleggia nella traccia in tre punti, della quale converseremo insieme
con le praticanti; è proprio quello lo spirito che intendevo far scaturire
dalle indicazioni supportate dalla idea di fondo che l'alcolismo 
(malattia che ritengo sempre accompagnata, correlata, alla patologia 
di bi-polarismo, più o meno evidente e grave) comporta, qualora non
se ne uscisse attuando proprio quei tre passaggi descritti (MENTALITÀ -
INTELLETTO - COSCIENZA) che l'alcolismo, dicevo, rimanga una
reale condizione psicofisica assolutamente irreversibile e non ci sono
né santi né madonne per uscirne.
Si diventa e si resta niente più che uno zombie da scansare, come 
ben sai: un vero e proprio lutto, perché corrisponde ad un reale ed
in-cosciente suicidio della persona. Il vivente si trasforma in morto-
che-cammina, e cammina solo a condizione di assumere alcol in
quantità, te lo dico per esperienza diretta, assolutamente spropositate.
Questo per quanto concerne la tua acuta osservazione, che l'alcolismo
è, di fatto un lutto.
Ma la mia osservazione non si ferma qui.
Il solo fatto di riuscire, discutendo su questa traccia, a rientrare nel
tema principale dell'incontro e cioè l'esperienza che ho (e non
che ho avuto, perché la questione è tuttora in ballo) con l'alcolismo,
accompagnato dalla ciclotimia (o viceversa, la patologia composta
sempre quella è) mi autorizza a porre una certa domanda, cioè se
all'alcolista attivo si può tendere una mano, e come.
Porgendogli un bastone per estrarlo dalle sabbie mobili, bastone che
non afferrerà mai perché lì dentro ci si crogiola?
Con la tolleranza, vale a dire semplicemente sopportandolo?
Con la compassione, vale a dire patendo assieme a lui?
O con la pietà tout-court, che non si sa bene cosa sia, ma che, di
certo, non può aiutarlo?
O, infine, tentare di convincerlo con mille argomentazioni logiche
a smettere di bere? 
Non funziona; semplicemente non serve, assolutamente, a nulla.
Mi spiego meglio. 
Il riscatto, vale a dire il ri-scatto, lo scatto che si ripete nella
direzione della vita, anche solo biologica, o addirittura della
Vita in senso anche spirituale, è quello che nei gruppi
chiamiamo Rinascita (ovvero ripetizione della nascita, venire
ancora una volta al mondo reale), quel riscatto, dicevo, è in
verità una reale molla interiore compressa e carica, pronta ad
espandersi, anche istantaneamente (come la molla di un fucile
subacqueo carico) se viene opportunamente sollecitata. Perché 
l'alcolizzato, in fondo, non vuole morire: è una protesta quella
che mette in atto bevendo, una protesta, ammalatasi a causa 
della dipendenza mentale e fisica che subentra e che si dimentica
anche di essere nata come protesta.
Qual'è la sollecitazione vincente che può riuscire a far scattare
questa molla compressa, se il grilletto non è inceppato?
Per arrivare a ricostituire l'antenna della ricezione del
messaggio che viene da fuori di sé, nonché la sua comprensione
nell'animo del nostro amico del quale parliamo (il che avviene
non per volontà dell'alcolista ma per la sua resa ad un sentimento),
l'amor proprio sembra essere l'impulso più possente al quale può 
rivolgersi il singolo nel problema, e parte proprio da lui questo
impulso allo scatto.
Dunque l'amor proprio  è lo stimolo da sollecitare, e l'esempio
del risultato tangibile di quanti hanno raggiunto l'astinenza, fra
coloro che siedono accanto a lui nel gruppo, aumenta le
probabilità si successo.
Questo evento può avvenire all'interno del gruppo durante
una riunione (molto spesso avviene proprio alla prima riunione);
o anche parlandone con un amico uscito dal problema, con il
quale accetti di parlare prima della riunione; o anche in una seduta
di psicoterapia se opportunamente stimolato; o anche, addirittura,
standosene una mezz'ora in silenzio seduto sulla sabbia,
aspettando un'alba nella quale sarà lui stesso a far sorgere
il Sole, anche per sé stavolta.
Ti abbraccio forte forte.

Grazie, Lorenzo, di questa tua lettera che trovo bellissima.
Ti voglio dire subito - senza frapporre altri pensieri - che,
leggendola, mi è venuto in mente ciò per cui un terapeuta
fa il suo mestiere (ma anche un alcolista recuperato, credo):
in ognuno c'è sempre una parte, per quanto piccola, che vuole
vivere e vuole prendere la strada giusta per amare sé stesso,
l'altro e il mondo. Il compito è aiutarla a crescere, come una
piantina nel terreno inospitale.
A presto, Francesca.

giovedì 19 giugno 2014

CLXXII

Chiodi al muro, i quadri,
la stecca della tenda

musica, è notte, l'una
la brace della sigaretta

si può far poesia con poco
rispettando la cadenza

di povere parole scritte
con la voglia di dirti qualcosa

anche niente.

CLXXI

L'ultimo passo percorso dall'uomo
volge ad est, al Sole nascente,
quando il globo s'incendia di luce

e rispecchia le scie di aranciato
sopra il mare increspato di neve,
quando il cielo s'inarca nel giallo

e la Luna, da sola, resiste nel blu,
vedova degli astri.

L'ultimo passo percorso dall'uomo
ricorda un esilio, agli uccelli
che si alzano in volo e,

radenti sull'acqua, scompaiono,
accolti dall'orizzonte lontano.

L'ultimo passo percorso dall'uomo,
l'ultimo uomo,
rimasto a testimoniare la stirpe

conosciuta dai mondi vicini,
è più lieve degli altri, è sommesso,
è l'incontro dell'acqua coi piedi,

dell'onda col corpo.

L'ultimo passo dell'ultimo uomo
è un percorso di pace
risarcisce tracce profonde
che la Terra sigillerà.


CLXX

Ti ho rincorsa da sempre,
nelle bettole sentivo il tuo profumo

poggiato al bancone, gli specchi anneriti,
sapevo che ti avrei incontrata,

e non dove 
e non quando,

uccidendo il tempo
che serviva a cercarti.

CLXIX

Stanotte sognerò i tuoi occhi 
il mio cuore si arresterà d'incanto
ti rivedrò 
sospirerò con te

uniti nella tenerezza
d'un fresco abbraccio d'amore
sul tuo viso le mie mani, ti carezzo
le tue labbra lievi sulle mie guance

le tue mani per i miei baci ed il mio pianto
mi cullerai sul petto
ci assopiremo assieme
ed assieme lambiremo le scogliere del nostro dolore.

CLXVIII

Ti ho portato in dono nove rose
rosa son cinque per quanto il nostro amore è grande
rosse son tre per la passione che sempre ci accomuna

ed una è gialla, per quella punta di gelosia che non si spegnerà 
se non alla fine della strada.

Se dovessi arrivare prima di te
tornerò indietro, ti prenderò la mano
riprenderemo insieme a camminare, se lo vorrai tu.

mercoledì 18 giugno 2014

CLXVII

Ricordo ancora quello che scrissi allora
che eravamo uniti e ci apparì per sempre e invece
ho rincorso i tuoi occhi e la tua voce

nel fragore delle fiamme e in mezzo al cielo
ma t'ho ritrovata e questo per me è tutto.
E lo è anche per me, queste le rincorse tue parole.

PROESIA, scritto in prosa e versi.

Musiche come poche, stanotte, anche il resto va bene;
sei incazzata un po', ma passerà, come tutto passerà.
Vedrai, domani è un altro giorno (sembra proverbio ma è verità) e si vedrà, e
anche giocarsi una rima era segnato. 
E l'astruso titolo è combinazione.
Che campo a fare, allora, se non decido di me, per me, con me; che senso ha
se avrò quello che mi sarà dato, se non è poesia ma scrivo in versi,
e li trascrivo mano a mano ricordando quel che andavo pensando allora,
via via che le parole spuntano e mi dico "Sì, son queste!",
proprio quelle che decisi allora di trascrivere ora,
per questa riflessione scritta in versi e prosa,
standoti vicino, più vicino, con il cuore.
È il riverbero di un pensiero già partito dall'inizio, è quella poesia,
dal tempo dei tempi più remoti;
da quando udivamo ancora nenie nel moto dei pianeti,
il fragore di fuoco del corso delle stelle, il canto delle comete
e il silenzio che c'è fuori e, oltre, il sibilo degli universi accanto;
e il nulla ancora fino all'infinità, da dove veniamo da sempre,
sempre per redimerci, sempre per fare meglio della volta precedente,
sempre per riunirci un po' di più tra noi.
Forse la poesia non basta più davvero per capire il perché tutto è segnato,
anche queste righe, anche il tuo incazzo: tutto è segnato,
tutto è assegnato e ha un senso.
Anche il tuo incazzo, come sai tu stessa, ha un senso.
E tu l'hai scoperto anche stavolta.
Incazzati pure, amore mio, scoprirai di più: scoprirai d'esser stata Iddio
e che non lo ricordi più. 
Incazzati, amore mio.

CLXVI

Scriverò ancora versi
saranno l'arma
che scelgo per scortarti
andandocene per i campi di gramigna

che forse disturba il tuo passo;
pianterai poi i germogli del grano
li accudirai con le tue mani
sarà quel campo il tuo stesso rigoglio

la tua vita serena
la rocca dove vivere
le tue attività operose
le amicizie e gli affetti

la sorte che sceglierai
le tue mille cose così ben ordinate
i ricordi e i progetti
non finirai mai d'incantarti per avere tanto.

Rimarrò a portata di voce
all'incirca ai bordi del campo.

CLXV

Dammi il silenzio
per conoscerTi una prima volta,
resterò tra le tue braccia
finalmente indifeso.

Piangerò sommessamente
delle mie ricerche inutili,
delle mie vanità.

LasciaTi abbracciare una volta ancora,
e saprò ridere di me.   

CLXIV

Brividi, stanotte, in sogno,
è di domenica, è luminosa e fredda
i fiori si chinano al tuo passaggio

rallenta il Sole, ritarda la sera
poi, passeggiando, esplode il buio
e ricordo te, Regina, immacolata e sacra,

ricordo te Regina e gli occhi tuoi
le labbra e il corpo.
E me ne andavo con lo sguardo chino 

per non rubare più purezza al tuo bel viso,
e, accanto a te, andavo,
mentre un angelo lasciava un fiore sul cammino.

Il velluto della voce, poesia d'amore, sì,
andavo accanto a te, dolce Regina
per provare estasi, ancora, accanto a te.

Non ci fu dono più grande
(sto sublimando, sì, per non morire),
non c'è dono più grande che accanto a te,

e questo posso darti io, poca poesia,
da anni accanto a te, dolce Regina,
è tutto quel che posso darti, accanto a te.

La pace scenderà dal tuo bel viso,
pace in amore,
senza più chiedere, senza più dare,

solo con gli occhi parleremo, amata,
non più uno scritto, nessun gesto nemmeno,
solo con gli occhi parleremo, amata,

occhi fermi nella pace, occhi fermi nell'amore,
solo con gli occhi parleremo, amata,
senza rubar mai niente a tutti,

troppo bisognosi di te.