giovedì 24 luglio 2014

CCXXII

Ho la testa sul cuscino ma, in effetti,
è un po' come poggiarla sulle tue gambe nude
per sentire meglio il calore della pelle.
Rientro in te se il volo eccedesse in vastità.

Sei seduta dietro me, dalle ginocchia
ti accorgi dei miei sforzi concentrati
che operano verso te come respingente
o un collegato traino di treno elettrizzato.

Guardando in alto, capto in verticale,
invio sguardi che salgon fin lassù,
devo mietere là risorse dal passato 
e dal futuro, che scritte son solo là.

Tu intercetti già dall'orizzonte
con il tuo sguardo pieno a tutto giro
nel tentare di scorgere gli influssi che mi arrivano,
nel tentar d'interpretare i messaggi che dipartono.

Quando mi sdraio vuole dire che mi arrendo,
a pancia all'insù riesco ancora a rovistare,
esponendomi appieno alla rovina 
del mio mondo, se questo viene giù.

Tu sei seduta ad assistere un mutante 
se sei fata o maga non è dato sapersi;
di certo sfoggi la tua aureola con merito,
non si può non dire a te la verità.

In due, le aure si fondono nell'organo
che provvede a penetrare la profondità,
e solo così poteva andare, se pensi
che quest'analisi è del sagace signor Freud.

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