giovedì 29 maggio 2014

CX

L'urlo è sceso, sublimando tra le righe.

Sublimare è rinunciare a soddisfare istinti,
è compensarli con atti immaginari;
la ciclotimia è già sublimazione,
sì, dell'istintualità che non si esprime.

Anche il divino
ho tracciato indefinito tra i miei fogli;
e l'energia che sempre porto dentro
innesca lampi che, a parole, non dan scosse.

L'odio per Francesca ho sublimato;
incapace d'intendere, smaniosa di volere:
è il mio giudizio,
è il suo castigo.

Strappare la sua pelle dal suo corpo
l'ossessione ancora non svanita e, infine,
l'affetto per lei, che rimarrà,
fissando il prezzo della mia liberazione,

accettare la perdita di lei.

Le relazioni con mia madre e mia sorella ho sublimate
offrendo in controparte il mio dolore
e l'indirizzo ad un confronto.
Non ho ritenuto valermi su tanti altri,

ormai estranei a questa mia vita.
Ho sublimato il transfert con te, psicologa,
forte e determinante;
sei stata Luna per me, Vita, tramite a Dio;

io ero Sole inabissato nell'Inferno,
nel Mare dove vago da demonio;
e Terra e Cosmo, ero, componenti il Tutto,
che riunisce donna e uomo in Uno insieme.

Lucifero, primo essere di Luce,
persegue il suo riscatto dall'Abisso.

Resto in parte irrisolto con te sola,
ma è questione che ora so affrontare.

Scende così nel profondo il mio silenzio,
come un taglio nella carne, sempre aperto,
che mi separerà, senza diverso sbocco,
da quel che ero e in parte ancora sono,

per poi lasciare all'Altro un po' del Tempo mio.

CIX

Forse è un tentativo per sedurti
ma non rinuncio a sdebitarmi ancora
con le poche qualità delle quali dispongo.

Ho pensato a una città felice,
appena posso la realizzerò 
e le darò il tuo nome, nell'Ellade risorta.

Sorgerebbe accanto al mare, chiusa da fiumi,
dietro sarebbe cinta di montagne,
avanti s'affaccerebbe sui suoi lidi.

Di fronte avrebbe l'isola protetta
accessibile dal ponte pedonale
e il caseggiato dentro la boscaglia.

Avrebbe la torre eretta al centro,
osservatorio per le stelle e l'universo
faro per le navi in rotta al largo.

Riceveresti nella quiete i tuoi invitati
saresti collegata con il centro
avresti le tue barche giù nel molo.

Sogno forse di tenerti prigioniera?

CVIII

Molta poesia la devo alle giornate
trascorse in fondo a un budello con mescita a fianco,
seduto al tavolino storto e sporco
sulla sedia in tubercoli di plastica celeste.

Lì non scrivevo, avevo altro da fare
cioè niente, se non passare la giornata
tra birra e alcolici, con l'uovo sodo
che stentava ad assorbire tutto quel bere.

Dalla mattina, dopo il caffellatte,
alla sera, quando abbassava la serranda,
osservavo il mondo che passava dentro,
lo vidi ondeggiare, non riuscivo mai a fermarlo.

Mi ero arreso, mi ero chiuso lì.
Non concepivo neanche più di proseguire
la vita idiota che si prospettava,
fatta di niente, nel mondo che non sa.

Dopo giorno il giorno, notte la notte,
anche lei appoggiata sul bicchiere.
Esausto, mi convinco ad emigrare ancora,
annoiato in cuor mio di quell'andazzo.

Sarà il lavoro il motivo dell'annichilimento...
Approdo dunque così ai campi di colture ed api;
ho ripreso anche lì a seminare frantumi in terra e in cielo.
Di notte feci rientro a Roma, c'era tempesta.

Viaggio e ricordi da qui son cancellati
Il primo che riaffiora è l'interrato e il gruppo di sostegno;
la mia resistenza, a fronte di quelli, durò nemmeno un'ora.
Il cedimento e il riconoscimento poi; sono alcolista, e smisi.



CVII

Le urgenti frenesie non le inseguo più
stasera me ne sto sotto il lenzuolo
non esco ormai più per lucidi ritrovi

con pista al centro e tante luci sopra
per affermare, muovendo le mie gambe,
che ci sono anch'io, assordandomi di note.

La febbre di scordare in compagnia
la mia vuotezza, con altri come me,
in luoghi dove non si può parlare,

tanto a che serve, nessuno più lo fa,
è roba che ho lasciato alle mie spalle.
Mi son ripreso, intanto, un poco, in dignità.

CVI

Si prendono Annalinda e Salvatore
in questo momento, con un sì sommesso,
rinunciando al destino individuale.

Si uniscono, le mani su una bibbia,
perché l'agire di lei si assommi al suo operare
perché insieme rispondano dei torti

perché uniti si colmino di gioia
per la conquista di comuni risultati
per cumulare nel bene le loro identità 

per giungere alla fine del cammino
con le anime già pronte a ritrovarsi.
Auguri di cuore.

mercoledì 28 maggio 2014

CV

Ho biffato lo specchio con schegge di diamante
inseguendomi curioso
tra versioni ritagliate dei miei occhi.

Lunghi tratti disegnati in dischi pervinca spicchiati
il gioco di una ragnatela
che esalta l'allucinazione.

Ho frantumato il caleidoscopio, che mi restituiva
formelle specchiate a colori,
ne ho racimolato vetrini sparsi.

Mi sono accanito a cercar sosta
là dove scorre la vita;
ho lasciato che scorresse, impotente.

Con gli occhi feriti ho pedinato le illusioni
con la mano distratta ho scansato le emozioni
conservando, unica, la sensazione

di essere avanti, e solo.



CIV

Hai lasciato un volto di Cristo
graffiato sopra un foglio compensato
ritrovato dopo anni di soffitta,
salvato forse perché potessi prenderlo con me

proprio quando trovavo una via nuova.
Fa da testata al letto, è in libreria
tra la tua foto col bracco e quella di un divino.
Ti conosco da quel volto, molto bello,

da altre foto, da scarni resoconti.
La  sensazione che mi lasci è di contemplativo,
di giovane ragazzo affascinante
amante della vita com'è, una sfida.

Che hai vinta nel fiore, Alessandro,
dei tuoi anni forti.


CIII

Al rapido volo delle sette rose rosse
verso il giglio che sbianca l'alto cielo

all'incontro che trasmette solo amore, che,
fra cielo e terra, non si spartisce mai.

CII

Se la mia vita non s'interrompe
la mia poesia meno che mai

voglio mostrare accesi
i sentimenti

che prendono ad incendiarsi ora
partoriti da poco in me.

CI

Non è una sfida con te, è un'altra cosa,
è  l'affezione che prelude ad ogni incontro
c'inchiniamo al carattere dell'altro
più di sempre ne amiamo difetti e pregi.

E' vera sfida, questa, ne siamo certi,
sul piatto ci sono le nostre gioie e dolori
sulla scacchiera muoviamo i pezzi bianchi e neri
e ci evitiamo guardinghi, per non sopraffarci l'un con l'altra.

Abbiamo scoperto la seconda fila assieme
dispiegando senza pudori drammi e splendori;
ora ci scrutiamo viso a viso.
Finalmente il profumo della pelle.

martedì 27 maggio 2014

C

Ti amo donna, mi confonde la sensazione
di operare maldestro nel tuo nome,
infarcendomi così di presunzione.

Mi assolve soltanto la constatazione
che l'amore provato, quando resta lì,
 inchiodato nella devozione,
equivalga, almeno, al trasporto per l'amata in terra; e forse più.


IC

Incorniciato il volto dal bel caschetto nero
sei sempre tu, anche così;
ma l'aria sbarazzina che conservi
si arricchisce di signorilità, se si può, ancora,

forse per la maglia di grigio scintillante
o una fasciata gonna nera, la giacca, e,
incredibilmente sofisticati alle tue mani,
scaccati guanti bianchi e neri,

quel tocco di classe in più che davvero non richiedi
ma che sai prenderti.
Non ti ho fatto complimenti, ero senza fiato, certo l'hai veduto,
mi sarei impappinato, sono un gran vile.

Comincio a notare tutto di te, ora; t'avverto,
potresti preferir tenerti al largo...

LXXXXVIII

Bella etiope,
raccogli, Elsa, nei tuoi occhi neri
l'incanto dell'Africa del sole.

Le tue movenze sono sempre quelle
della leonessa che osserva con sospetto
l'approssimarsi, falso, dell'inquieto uomo.

Regina delle piane, conserva i tuoi monili,
l'alterigia che hai, la forza tua,
il distacco dal vile, la dignità che mostri.

Non lasciare che la sostanza ti smembri come preda.

LXXXXVII

Voglia di abbracciarti, stretta stretta,
sentire la tua testa sulla spalla,
ascoltare i tuoi sussurri,
carezzare i capelli, ti bacio su la testa.

E vedere  sollevare il tuo bel viso
poi baciare la tua fronte cara, e il naso,
sfioro la tua bocca, che mi apri,
tocco con le labbra le tue labbra,

i denti amati, la tua lingua è così morbida,
tu la muovi per saggiare insieme a me
le nostre bocche, grandi più di noi
immense grotte dove ruotiamo fermi

ci rincorriamo e ci prendiamo e ci lasciamo ancora,
mi lasci sentire di cosa tu sei fatta,
ritrovo i tuoi timori, la tua onestà, la tua dolcezza
incisi sulla volta del palato, su le guance,

su le labbra rigirate per amore.




LXXXXVI

Amore amore amore, dolce amore
speranza, mia speranza, gioia radiosa
lume, dolce lume nella notte

sogno, caldo sogno sceso in terra
fiore, rosso fiore di passione
ti amo, senza sbocco io ti amo.

LXXXXV

Slavate da quel freddo sempre
unte dal calore ora
si spostano svestite a primavera
le viaggiatrici del nord
incuranti, sembra,
del sole
e degli sguardi, che bruciano la pelle.

LXXXXIV

Oggi ho colto le bianche margherite
ho allungato le mie gambe su di un prato
ho intonato un canto lieve come nenia
ho poggiato la mia testa contro il cielo.

Sono rimasto a inseguire le mie idee
si dipanavan come fiocchi di bambagia
ricoprendo il tuo corpo immaginato.
Basterà un soffio per riaverti accanto a me.

LXXXXIII

Matita in mano, davanti il mio taccuino;
vado cercando qualcosa da ridire;
sono polemico e sventro sempre tutto,
vorrei vedere più avanti del presente.

Stai studiando, l'aspetto è di nobile signora;
anch'io ti studio da quando mi sei accanto
ti spalmi in piedi il rossetto per le labbra,
prendo lo spunto, ti osservo accanto a me.

E percorro ancora le curve disegnate
t'apprezzo dall'alto in basso, poi ritorno su
col poco tatto che tu mi concedi, per avermi complice;
le mie ginocchia, sedute, ti strusciano le gambe.

Ti sei allontanata, inseguendo il tuo daffare;
mi hai lasciato ad apprezzare i tuoi bei fianchi
e il tuo corpo che ondeggia in mille gesti.
Fai l'odalisca, a volte; ti apprezzo come tu vuoi, femmina che sei.

LXXXXII

Claudia è dietro i vetri, tra le stoviglie,
lavora intorno alle sue torte al caramello,
gli spicchietti d'arancia da apporre a guarnizione,
ha la maglia rosa e su la blusa nera.

Quando sei con Drelli vi parlate nella vostra lingua del nord
profonda, gutturale, aspirata e tonda
e tu sali di nota con la voce calda
se vuoi sottolinear sostanza a quel che dici.

Ricordo, quando tacevi, in estate, il gran silenzio
che circondava la campagna immobile;
lavoravamo sugli ulivi, presso la fonte di acqua gelida
alla quale rinfrescavi il tuo corpo quando ti si incendiava.

Siamo di nuovo vicini e tu mi sorprendi ancora
per i tuoi passi ordinati, scanditi o svelti,
per il gioco delle mani, lunghe e snodate,
per la serenità del volto, luminoso da sempre.


LXXXXI

Tu hai pianto, ti ho dipinta come sei,
ho proposto ai tuoi begli occhi i tuoi difetti
provocando così la tua reazione:
crescerai più sana e più profonda, credo.

Tu hai pianto, per un attimo il tuo tempo si è arrestato
e anche per te, in quell'ultimo dell'anno
quel tuo ricatto in risposta all'insistenza mia
non ti era ben chiaro e non ha premiato neanche me.

Tu hai pianto, di certo il velo nero
che hai disteso tra noi due non s'è involato.
Io l'ho addosso come ombra nella morte,
resterà qui, a coprir l'amore ucciso.

LXXXX

Suono di campane anche quest'oggi
vorrei sapere dove mi porterà 

parlar di te, sensibile mia amica,
che vivi rinunciando anche al giudizio

ma sempre con la voglia di sapere,
e per altri argomentare con chiarezza

espressa su gli eventi di chi soffre
sapendo che è colloquio la ricetta,

quando comporta lo sciogliersi dei mali
che comprimono il cervello, e, quindi, il cuore,

unificandoti con l'altro nel colloquio spirituale;
che tale è quando tu sola sia a ricevere, per poi rendere a due.

E non lasciarti andare a trasmissione
che non preveda la replica dell'altro,

tu che certo sai già dar lezione,
avendo assai sofferto nella vita.

Rinuncia a valutar la sofferenza
come dato ineluttabile per te,

non chiuderti convinta che il tuo animo
non saprà affrontar mai questo dolore;

è il dolore universale, il mal di vivere dei poeti,
che tu porti con te, perché divina,

o viceversa, in fondo poco importa.
Resta sensibile, ma adotta anche strumenti

per apprezzar le gioie della vita,
senza occuparti così tanto di altrui pene:

rinuncia ad esser dio, comprendi e basta,
non mirare a sopperir da te ai tristi eventi,

di consolare con il tuo cuore grande il mondo.
Sbagli nel valutare le tue forze,

e anche il compito tuo, che si contenga,
nell'occuparsi più di te o al più dei cari tuoi,

lasciando che si compiano all'intorno
il bene e il male, dei quali l'autrice, ricorda, non sei tu.












LXXXIX

Il sentimento lato, teso verso tutto
dall'amore alle attenzioni ed al rispetto
lo concepisco puro, perfezione nobile
e cozza con altro che nobile non è.

Per me, diverso equivale a impuro, ma non sono io
a contaminarlo l'altro che prendo in considerazione;
se contaminazione c'è, è l'ingenuità solenne che proviene
dal riconoscere purezza a persona che non ne è degna.

La mia attività si configura nel sociale
e nel concetto di realtà così com'è,
fondamentale aspirazione del sentimento più ampio,
e per questo subisco, come altri, attacchi al mio candore.

Vivo per offrire sentimenti puri
che abnormi non sono, ma sono, piuttosto, enormi;
con autocontrollo più che con imperturbabilità.
E manifesto spesso, questo, a chi mi è accanto.

Lo manifesto nella convivenza,
nel rapporto con dio, se c'è, anche nell'arte,
ed entro in crisi quando mi disinfesto
d'ignobiltà e d'impurezza nel mio cuore.

Ipersensensibili senza difese, come anche noi autistici siamo;
incartiamo di nobiltà, talvolta, anche il creato.





Lettera aperta.

L'impegno che sto affrontando nel recuperare, rinfrescare, dattilo-scrivere 
e infine spedirvi questi scritti, almeno fino a quando, in quanto operatore
culturale con valida proposta, anche se un tantino provocatoria com'è 
giusto che sia, già espressa e indirizzata all'Europa ( è lei che ci invita a parlare 
o sbaglio? ), l'impegno che sto affrontando, dicevo, è almeno pari al vostro
nel leggerli, questi miei scritti che vi invio.
Io continuerò nel mio impegno; vi prego di fermarmi qualora dovessi,
così facendo, annoiarvi o farvi perdere tempo più utile per altro.
Il vostro silenzio lo considererò assenso a procedere.
In tal caso solleciterò nuovamente ad una risposta (alla mia chiara e semplice proposta) l'Ufficio Stampa europeo già informato e interessato.
Vi ringrazio.


LXXXVIII

Grazie l'ho detto,
letteralmente,
in mille versi, a te.

Ma il riscatto della mia riconoscenza
nei tuoi confronti 
vedrà passaggi ancora.

Ho poche parole, gesti meno,
e raffinati alla fiamma del dolore;
mi sembra questa una nostra affinità.

Ho imparato peraltro ad esser clown,
stregone, come dici,
e tu ad esser fata, ch'è lo stesso.

Di più , siam simili per l'amore per la vita,
ch'è amore per il Cielo, per il Sole, per il Mare,
e ci sostiene forti anche nel buio.

Siamo complementari per esser
donna e uomo;
tu, forse, un po' disordinata, distratto io ...

LXXXVII

Compagni di tramonti inebriati, di notti e dei giorni a seguitare,
lucidi soltanto di sole, ostinati al calare del buio a cercare,
a ritrovare i percorsi dei luoghi conosciuti da sempre, di spacci,

di chioschi sulle spiagge, che domani saranno ondulate, assolate,
fissando dall'ombra corpi sdraiati, dorati, lontani, a ridosso
dell'onda che frange per gli ultimi raggi, sulla battigia del mare

non più frequentato, conosciuto; tradito e per intero supplito
dagli indispensabili bicchieri ricolmi di liquidi chiari, più gialli,
più rossi, spinti da risibile contegno a restarsi vicini, prossimi,

più pronti o più lenti, convinti di stare alla propria misura e stanare,
al contrario, la resa assoluta dell'allontanarsi e separarsi astiosi,
mediare la propria vergogna con la rabbia per l'ultimo sorso,

quello che li avrebbe traditi, e isolati; da soli incamminandosi,
lasciando che il gruppo si sfaldi, si sformi, si ingorghi di nuovi indecisi.
Tra un paio di morti è una scelta, quella da astemio e l'altra, più dura.

LXXXVI

Modesti postumi vivono di nuove tensioni
percorrono ancora la fibra dei nervi allentata da troppi strappi ricevuti

scatenati a inseguirsi veloci ancora più in là
del sopravvenire, invece, lento del sonno ristoratore

inseguito come panacea fin dalle ultime scosse nervose.
Magnete assorbente vivo, il sonno,

reso ineffabilmente ottuso, annichilito
dagli inneschi esplosivi scoccati dal caos che non prevede la resa.

LXXXV

I soliti insoliti affanni per mediocri accozzaglie di rozze paure
indistinte, più forti, più forti, prementi, opprimenti, spalmate

sopra il mio, consentite, palpito di orgoglio naturale, spontaneo,
che diventa al contrario contuso, ferito, 
lasciato a scemare nel gelo e deluso,

privato dell'affetto, dell'amore creduto imminente
intorcinato dall'ustione di mortale menzogna profferta,

celata  così tanto a lungo, per il solo istinto compresa e accettata.
Parto e parte integrante si vuole, l'offesa,
dell'inumano scambio verbale corrente.

LXXXIV

Figura nel mare
stagliata all'aspetto,
cacciatore celato

tra il fondo nel fondo.
Predatore tradito
dal respiro che inganna.

Non sai spezzare, assorto,
la rete dell'illusione:
sdraiato, prostrato, sfinito,

quell'impresa la compi, ostinato.
Ti troviamo sul fondo appagato,
per quell'ultimo tiro.


LXXXIII

Scivoli, trascinata dalla voglia dell'oblio, sull'erta dell'amore di te soltanto,
lenta e ridotta supina a lenirti nei ricordi senza mai affrancarti,
divelta dal rifiuto stonato, acerbo strumento della tua vita tediosa.

LXXXII

Sbavato grippaggio dell'anima,
si spezzano le sorti
lasciando schizzare mille schegge

che vanno a trapassarmi,
rilanciando ricordi di cocenti sconfitte,
da combattere ancora.

Gli esiti di gioghi collegiali,
che non conobbi,
rafforzati dalla pratica 

di personcina previdente
tesa ad acquisir vantaggi come e dove si possa;
ignorando del tutto il gratuito.

Quel darsi, cioè,
che diventa sublimazione di sé,
e che lega, con nodo di bolina doppio, per sempre alla vita.

LXXXI


Ed alberi e lampioni e siepi e striscie d'asfalto all'Università, 
sfacciata facciata, le mie lenti la dipingono rosa.

Rimbalza la tua voce ancora, rimbalza rotonda,
tra le pieghe di pensieri nitidi, a lunga previsione.

Circondate da buio, quanto basta a risaltar smaglianti.
E, nel confronto tra il dubbio ed il sicuro, lastre ondulate ad estrema riflessione,

stabili radiatori di lucenti vibrazioni che imbiancano di chiarezza tutto,
immaginifiche trame intrecciate a 
strati, in cavi di lega dove rifulge l'oro,

conduttori cartesiani di energia pulita che vanno a distendersi,
trasportando la luce ai nodi delle tempie.

Così diffondono quel calore che scioglie anche l'oblío,
restituendo, alla coscienza, la purezza che cercavo,

vigile sempre a non commetter l'errore che trascina a fondo,
come ombra che scompare nella tana.

La tana è scavata nel tetro della mente,
nel lugubre teatro del tarlo, e da lì si esprime tra l'incerto e il falso.

Questa è la mia follia; ed il tuo amor la sposta, lontana,
appesa ad un gancio da macello.

Testa di bisonte che percuoti le pareti
lasciandomi a schiarire nel Silenzio

sul picco della gioia per la Vita.
Disteso come cielo, che ho dintorno.

LXXX

E' color pervinca la felicità,
l'accendersi degli occhi nello specchio

dove mi guardo finalmente incoraggiato
dal volto più disteso, non celato,

dal velo di durezza combattiva
che lo ricopre come maschera d'acciaio

per conservarmi minotauro dell'anima.
Troppo bianca per dimostrarla al Sole.

LXXIX

Si alluna la pozza dell'acqua
si slega il fulgore argentato
si segna il contorno del buio

brividi lasciando nei tuoi occhi
riverberi marcando sulla pelle

d'amore un vento smuove i capelli tuoi.

LXXVIII

S'invortica la scimmia ubriaca
capriccioso spezzone di granata
mutilante scaglia

di mente soggiaciuta a quell'orgasmo
dall'ombre fluito, dal nero
arrovellar d'ingegno poderoso

per mistiche enunciar conturbazioni
rovine nel dosaggio quotidiano:
d'eccitazione e noia, depressione

che anelo imprimere agli eventi
scolpiti nello scambio planetario
di avere e dare, che, certo, invento io,

figlio nomade di un dio minore
o l'Assoluto, inseguendo quel che voglio.
Forse è capriccio, o forse malattia,

questo pendolo indecente che volteggia,
staffilando con lama insanguinata
quel che ho dentro, quel che incontro fuori.

LXXVII

Piuma sul viso 
il fiato tuo,
gli occhi ridotti a spiraglio,
tanto oro dentro.

E denti in sorriso
scoperti dalle labbra abbandonate,
riccioli neri
sul bianco ovunque; morbidi, profumati.

Ti carezzano le mie labbra,
le braccia ti circondano,
le mani afferrano la schiena.
Ti sollevano a me,

nel palpito, concorde,
che troviamo assieme
per riunire i nostri corpi
da sempre amanti.

LXXVI


In tanto spegnermi
silenzioso, parco,

mentre rende il respiro
le sillabe della nenia lenta

ricordo della prima vita
atto di consolazione e di dolore

per la trasformazione che allora scelsi
e che andavo facendo

felice di decidere per me
in una qualche direzione

l'esito che una vita già sofferta e inutile
mi proponeva di radicale mutazione

che per tanto
avrei seguitato poi.

lunedì 26 maggio 2014

LXXV

Si sfinisce il tramonto
sui padiglioni oscuri

di quest'ospedale urbano,
grandi finestre fiocamente trasparenti

dietro le quali indovino corsie di rassegnazione,
degenze di stupito dolore.

LXXIV

Sulle orme del vento
rincorro i tuoi salti
arricciata felina
con le labbra corallo.

Ti invito all'agguato
tu mi scarti infuriata.

Sull'orme del vento
rincorro tue fughe
le intraprendi convinta
di schivare anche me.

LXXIII

Atto di testardaggine
questa fede,

scalare il tunnel buio dell'incredulità 
che mi connota,

pareti senza appigli d'intelletto.
Sentita, questa fede,

con la bocca dello stomaco
desideroso d'altro.

Trovata, questa fede,
quand'ho detto non son io

il dio che illumina il pianeta fuori
e me, dentro,

per la prima volta
svezzato dalla morte

che si ritrae rabbiosa,
ricolmo poi di devozione

per Chi
vuole essermi accanto nel tirocinio

che prospetta alla mia vita
comportamenti, ignoti in parte,

che elevano la dedizione a qualità divina.

LXXII

Spiraglio di luce quell'anta socchiusa 
che varco e ri varco, divertito, accecato
dalla fredda chiarezza del mio stesso splendore
rifugiandomi ancora e ridendo di me

in quell'antro abissale ch'è da me conosciuto 
che frequento da allora che divenne dimora
dei miei mille gemelli spesso appesi alle volte 
o agganciati ai rampini o per terra accucciati

nel buio loro striscianti, scuri onirici impasti
di visioni malferme, mille mie proiezioni
che più scorgo di me e che avevo inventato
per avere sollievo dalla solitudine, che non demorde,

squagliandosi lenta

stearica nera che cola
al bruciare del cero
che accendemmo col fuoco.

Il primo, nella prima grotta.

LXXI

Si allargano infiniti e sospirati orizzonti, sì, stavolta tersi,
lasciando poco tempo al dubbio che pervade spesso
chi è uso a perdersi, assente nel presente: e amen, la butti lì.

Che gioia!, attraenti, infiniti e sospirati da così tanto, da così troppo tempo.
Troppo si è allungata, anche stavolta, la presenza letale della crisi...!
Li definirei irreali, se non è dirne troppo e con troppa foga, quegli orizzonti.

Sìii !!!, sono scappato da lì due volte, due volte bravo, inoffensivo sempre,
in pigiama e babbucce nel bus, sorridente per vivere e vedere, slegatomi da me,
e vasti orizzonti attraenti, infiniti e tanto sospirati, ... da così tanto...!


Forse mi ero deciso allora per i cieli, per gli schizzi di ghiaccio sciolto,
basterebbe lasciar passare solo un minuto; utopie funesterei, rese letali,
alle quali riesco a sottrarmi a stento, anche stavolta, che dio mi perdoni.


Che gioia!, dopo l'assenza imposta, ora ancora la presenza irreale di reali
infiniti e sospirati orizzonti, di tramonti di fuoco sul mare, vividi, rossi...
di albe, sospirate quand'ero legato a quel letto: quaranta giorni che sono mille,

e più; per nulla, per poco, per essere fuggito, evaso, scappato, evaporato 
da quegli inferi che sapevano di piscio andato a male, di sterco
rimasto a seccare sotto; affidato alla pietà di un portantino.

Ne sono stato punito, ma tramonti e albe a bizzeffe ogni giorno rubato,
a raggiungere Focene, e ho raccolto due polpi spiaggiati dal freddo, vivi di vita,
tuffi e bracciate spruzzanti ghiaccio, ghiaccio sciolto, accidenti, 
se ripagano...!!!






LXX

La vita di ora è anche colma di ricordi
sfuggiti filtrando, ostinati e gioiosi, cento trame ispessite,
scartando i miei slanci impetuosi

disertati oramai da me, incredulo sano,
titubante a raccogliere i segni sconosciuti o fraintesi,
o comunque avallabili dal credo ormai esangue

nei finiti concetti, nelle risorse mortali.


LXIX

Un tatuaggio in più , un tuo ricordo,
l'asterisco di richiamo inciso nell'occipite del cranio,

marchio feroce del dolore per la tua viltà,
per avermi trattenuto ancora

oltre l'amore
oltre l'affetto
oltre la considerazione

solo aspettandoti da me, per esser pari,
vigliaccheria.

LXVIII

Una brezza,
il dolore che si allenta

e che consegna
i rintocchi ovattati dei nostri giorni assieme.

Quell'arrivederci, forse d'amore,
il mio intramontato.

LXVII

Gesù sulle acque limacciose camminando eretto
tra il pane, il vino ed i seguaci che innalzasti a santità,
essenza tua la nostra, effusa dal divino,

realizzavi purezza e nobiltà, che in molti ambiamo,
mostrando soluzione all'egoismo con il quale combattesti, solo,
amando l'altro davvero più di te,

se poi compivi, come fu, la tua terrena vita,
prescritta da sempre dal destino,
in sacrificio all'ostica omertà all'amore

che accomuna gli uomini, che uniti non son mai,
in tentativo vano, forse,
e per questo più gratuito ancora.

LXVI

Quattro studenti folli a Prashanti Nilayam,
un gesto indemoniato,
in sacrificio due innocenti, per aver difeso l'essenza dell'amore.

Quei coltelli in quelle mani di certo furon visti
ma hai lasciato ugualmente che accadesse.
Perché?

Darai forse risposta,
ma accoglierò in silenzio il tuo volere, se tacerai
la verità ch'è solo tua.

LXV

Abissi inconsueti, stamani,
e vette accostate.
Alla metà della crisi.

A piazza Ungheria,
in un'ora del mattino,
verrai.

Il sole spennella gioioso,
così le gradisce qualcuno,
facciate inscurite 
da tinta giallastra.

LXIV

Distacco da ansie autosuggestionantisi,
recuperato in un attimo troppo gentile
dal successo di criteri trascendenti,

non subalterni ad una idea,
anche se nobile, anche se divina,
quando diviene noia anche il dolore,

quando la gioia si stempera nell'abbandono
anche dell'ultimo relitto di piacere,
quando il tuo viso si allontana ferito dal ricordo

nel ricordo.

LXIII

Io, Nosferatu,
Principe della Notte
Signore delle Mummie

ammantato dalla lebbra della mia solitudine 
rinchiuso nel sarcofago della mia follia
dal quale mi sottraggo per il pasto,

succhiarvi il reale e il razionale per compensar di giorno
l'immaginario mio, elisir che rubo a mio fratello, Satana;
Io, l'Uomo mai morto, il doppio negativo sulla Terra in voi,

sette miliardi d'irrisolti tentativi,
le orecchie appuntite, magro, unico e solo nel Mondo Capovolto
dove le mie iene inseguono cavalli,

Mi dissolverò dopo una notte passata con te, primo astro del mattino,
Dea che illumina al canto del gallo, mostrandomi impotente
ad affondar la mia rabbia immortale nel tuo profondissimo affetto.

LXII

L'insistenza vana di approdare al tuo viso,
scoglio inospitale che il tempo si occuperà di levigare
con la sabbia della schiettezza,

affinchè il palmo di un uomo possa poggiarsi a te,
per la prima volta, se mai vorrai questo.
Il gioco inarrestabile delle tue estorsioni sottili

troppo vere per essere spontanee
troppo pudiche per essere decenti.

La fissazione per un carisma che senti di avere e forse hai anche,
forse su chi è rimasto, tua ultima illusione
che non riconosci neppure alterità.

La tua realtà che fingi, operosa, di inseguire,
quelle poche scarne figure che ancora aderiscono a te,
anche già scomparse, anche tuttora presenti,

la tua vera armatura di prostranti adulanti
forgiata di poveruomini appiccati al medagliere che ostenti,

che non hanno fuggito, per vigliacca impotenza,
l'incanto dei tuoi occhi che, anch'io, ho intravisto color dell'oro
l'incanto dei tuoi capelli che, anch'io, ho intravisto color dell'ebano.

Per vedere annegare la tua anima camaleontica
resto qui, accanto alla tua figura così consona a me,
e per non lasciare questo mare cristallino, in cui mi rispecchio orrendo.





LXI

Il guerriero irruente aveva già 
scoccata una freccia al filo dell'erba,
riparo -  quella tua discrezione! -

al profilo tuo minuto, intravisto 
e scomparso già,
appena un attimo prima.

Perdonalo, intendeva stanarti, ma tu
ti eri vista oramai dentro il tuo specchio,
inorridendone, di te

- perché si prova questo a toccare il fondo -
lanciandoti poi  alla parete appesa e
di lì le stelle, sopra il buio, scorgevi.

Ti salverai per un gesto d'amore
che compirai solo per te:
rinunciare all'altra.


LX

E' solo un attimo
si dilegua nei ricordi belli
quella cena da Paolo, 
Fara, Patrizia e me

e te, coperta di quel nero che ti accende.
Il menù ricco e cucinato con affetto,
la voglia si spogliarci di tutto,
così umana.

Forse la dolce ansia
di percorrere insieme quelle ore
nel credito di altri...
Finalmente senza lo sforzo abituale...

E la musica arrendevole
che aiuta ad ignorar primati 
e mi detta, confuse, note in versi
che restano dedicate a voi

inespresse solo per l'umanità.

LIX

Discendono le pizie lente
per incontrarmi nella mezza notte
ordinate e silenziose
degradando nel morbido vortice

di tuniche bianche, di nudità complete
a confortar la mia ignoranza
con loro visioni, indicazioni loro
trasmesse con il cenno delle ciglia

il gesto di una mano, l'irrigidire il corpo
su quanto m'accadrà che già non sappia
già veggente
già poeta

accorte
a prevenir da sempre la mia morte
che, pure, ho cercato,
ingordo d'aver tutto.

E si snodano, per i giorni che verranno,
a presidiare la mia intemperanza,
a scardinare la triangolazione tremenda  
alla quale mi son votato.



LVIII

S'inarca l'urlo
per l'impatto scaturito
seguendo differito
il percorso del metallo nella carne.

Poco sotto il cuore
maledetta pastiglia
così veloce, così bruciante
così attesa

sparata da un folle
che dovevo precedere in pazzia
io che potevo, io che volevo
io che sapevo

sarebbe avvenuto attorno a un tavolo
apparecchiato per la cena
quando 
la sua viltà di travestito in uomo

avrebbe sorpreso la nostra innocenza
disarmata dall'amore.

LVII

Non c'è più niente;
uno straccio di sogno da inseguire
o, dal passato, la difesa ancora
d'un ideale.

Copertoni rotolano,
sbatte un infisso per il vento,
una moto, un clacson giù;
ma non è nulla.

Solo riverberi raccolti dai miei sensi
quando tutto il resto è già 
distante, 
in cerca di salvezza.

Da questo schifo.

LVI

Mi piantona il silenzio acuto
di fischi vicini
allungati nella stanza.

Non ci fu nulla di più estraneo mai
che la mia vita, oggi;
dio mi perdoni.

Forse ho creduto d'averlo scritto
quel dolore;
e invece così non è, non c'è che il vuoto.

Vuoto di dolore, anche; sublima
in voto,
di non morirne mai.

LV

Ti sei mostrata impavida
come Lui ti vuole
nel giocarti con me
questa mia vita.

LIV

Il mio campo arde
di spighe d'oro, ma
la tua pioggia d'amore
non ci sarà per me.

Non ci sarà per me
mai la tua linfa
mai la tua pelle
mai la tua bocca.

Averti accanto
mai più,
se godere di te è morire, poi,
senza il tuo abbraccio.

sabato 24 maggio 2014

LIII

Quattordici realtà, striscianti anelli
di argano mentale al fuori indirizzato,

collegate da cadenza allucinata
rivelo a questo spicchio mio di vita.

Dalla prima, vita originaria, alla nevrosi 
per portarmi poi alla terza, somma dei due mali.

Quarta è la costante turbe della mente, l'insofferenza;
che, alla quinta, si moltiplica nelle tante, intrecciate e oscure.

Nella sesta è già distimia con nevrosi
e scivola nella settima, più dura;

qui sono disadattato nella realtà 
anche se riconosco i meccanismi miei mentali

e quelli altrui; telepate, si dice, e
la forte paranoia si presta ad aggredirmi.

Si sale ancora, poi si arriva al dosso,
ero disadattato ed è qui dove mi scollo 

scendendo nell'ottava non più lucida realtà 
da dove non vedo più, ormai son dietro al monte.

Nella nona la mia testa si confonde 
il delirio sopravviene e mi trascina

in quella che io chiamo la spirale;
nella decima rinuncio a ritornare.

Qui entro nella trans-lucidità 
mi appare tutto chiaro, vado avanti.

Nell'undecima non recepisco più nulla per com'è,
scompongo e ricompongo realtà e minuzie

e la ripercorro senza riorganizzarla mai,
in tutte le sue varianti; una soltanto me ne appare, a turno e a caso.

Dodicesima è la ciclotimia,
allorquando effettuo il tentativo di regolamentare gli svarioni,

è l'ultimo espediente che ha la mente mia
per tentare di stabilizzare l'equilibrio del mio umore,

ma questo può realizzarsi a norma dell'alternanza ciclica,
con il bilanciamento della condizione palesata in precedenza.

Questa è la risorsa che ho più cara in quei frangenti,
far distinzione chiara tra l'estranea realtà e la mia follia.

Nella tredicesima realtà trovo tensioni,
mistiche, direi, come elettrici scossoni

che dipartono dalla mente per dar corpo
all'ultima realtà, la successiva, ultima e doppia.

L'elettrochoc è l'estremo espediente
che può strappare e risvegliare forse la distinguibilità,

rilasciandomi ad agire in una a caso delle fasi elencate,;
vuole probabilità che receda retrocedendo.

L'ultima è doppia perché è biforcazione
come il terminale della lingua del serpente.

Realtà autarchica è l'una, detta autismo
dove la mente crea la vita e adatta il mondo;

risorsa ultima e geniale, fine a sé stessa,
permette così di escogitare a modo proprio il reale.

L'altra è irrealtà immaginaria
che si dissolve in dissociazione e distruzione insieme,

lì fallisce il tentativo di adattamento estremo
o di adattare quel che mi circonda, o in parte, almeno.

La mente si distrugge qui per sempre
si ristagna nell'inedia e nel dolore.

LII

Non mi sembra possibile rassegnarmi liberato di te
quando da anni ormai non penso che a legarti, per poterti osservare,
amare, per essere tu stata lo stimolo dei miei rientri successivi
e chiave di quattordici lucchetti di quelle realtà, tante volte descritte.

Oggi m'hai detto non son tua, dopo tanta pietosa attesa,
nella quale hai lasciato che mi fortificassi disilluso, sparandomi poi
nel salto alla realtà prima, la più tremenda, la primigenia.
Ed è la vita, anche per me, adesso.

E se balbetto e se tentenno e se il rimpianto del possesso su di te
è ancora così forte, riesci ugualmente a strattonarmi, io inamovibile,
fin qui, dove, realista, mi hai riaccolto chiedendomi, compunta:
berrai, adesso?

Anche se incombe sempre la nostalgia della morte,
non berrò per me, per te, per altri ancora.
Osserverò lucido la follia svelata,
sarà un'alleata compagna per i tempi che mi aspettano.

LI

Non ti amo.

Potrei, tacendo nel silenzio anch'io della tua voce,
rompere i tuoi benevoli elargiti sguardi con gesti stizzosi...

Ma non sei più tu l'antidoto che rifornisce distacco dalla follia e dall'alcol.
Mi hai svezzato in tre parole, dopo anni di incantesimi

che mi hanno rese amica la sorte e ostile la sostanza.
Rimane tutto quel che sai, che ho, stretto nel cuore.

venerdì 23 maggio 2014

L

Con oggi chiudiamo la collana e l'analisi
resta da spezzare il transfert che è dipendenza ed ossessione
sembrano domate ciclotimia e sostanza
spengo quest'era durata mille giorni.

Ti chiedevo all'inizio lobotomia, elettrochoc 
tornare a terra come invalido mortale
me ne strappavi sempre con caparbietà 
dalla distruzione che sapevi avrei cercato.

Poi tanto con te e tanto ancora
fino all'esordio di scrivere due versi
massacrato alfine dal dolore
che risveglia la reazione.

Grazie a te sublime
grazie alla vita che commosso amo
amando anche il dolore d'essere sperduto
dentro il mio vuoto, tra  miei deliri, negli occhi tuoi belli.

IL

Le ombre della malinconia
si prolungano ancora più timide

sempre vergognose di mostrarsi ai tuoi occhi

occhi che non dimentico per non sfuggire all'incanto
che mi trattiene dalla fuga verso mondi

che sappiano acquietarmi almeno tanto.

XXXXVIII

E ancora riveder le nuvole
trasformarsi in schiere

di angeli guerrieri;
e ancora scambiare l'odore della pioggia

per fumo di scintille di lamate
tirate in alto;

e demoni più scuri in formazione
attaccare rapidi,

e precipitare, corpi bianchi e neri,
come abbattute rondini e colombe.

Inverosimili scacchiere,
ricomposte sul sangue della morte.

XXXXVII

In analisi non ci si spiega,
o ci si capisce o buio.

E' vero, amo una donna e, quando fu rottura,
riversai per rivalsa su un'altra
l'amore che non riuscii più a darle, tutto cioè;

e in quel crescendo descritto in poche frasi,
che mi facevano apparire amore
l'affetto profondissimo per te.

Depositaria per due fino a quest'oggi
tu ricambiavi,
ma hai ragione tu,

io non ti amo.
E questo ancora
non so di saperlo.

Hai vinto la mano sul mio bluff
che sapevi e conoscevi inconscio,
ti sei prestata da amore in terra
per non farmi volare in cielo a cercarlo.

XXXXVI

La morte sola
potrebbe in quest'istante soccorrermi
se lo volessi.

La morte sola
fermerebbe il mio delirio
se la cercassi.

La morte sola, la mia sola morte, risolverebbe
in un attimo indolore
la quadratura del cerchio, tu, l'amore, me.

Ma non le chiederei
presuntuoso fino alla morte
d'intervenir per me.

XXXXV

Voglia di piangere
perduto a Trastevere
venuto a fare chissà che.

Il cielo scintilla gocce rare
che precipitano
incendiandosi sul parabrezza.

XXXXIV


Pace Signore
pace Signore, pace
pace per la mia mente
ossessa senza sosta.

Placa la mia ricerca senza fine
senza risparmio
senza scopo ancora
che non sia tu.

XXXXIII

Cirro di quota alta aperto a fungo
confine che fisso all'espansione
secondo vertice di triangolata opera mentale

fantastica, non immaginaria
dal mio cuore predisposta
unito a sensi ed intelletto

per l'attacco coerente al maleficio amatorio
il terzo vertice legato alla figura che evoco
per distruzione terminale definitiva irrevocabile

di quell'ostile al quale io mi riferisco
e assistito dalle forze che richiamo 
e così, disposti a raggiera, si alzano mitici i voli

di scorte di alati lucenti,
e, dal pensiero di lei, dei fratelli d'ogni tempo
e dal mio maestro

dai quali attinga sostanza inesauribile
perché possa scontrarmi senza ira
e senza rassegnazione

fino ad esaurimento del confronto
per difendere me, non più qualcuno,
concessa difesa che nessuno può negarmi

all'ultimo sangue mio o di suo liquame.
Masticherò i suoi arti
per norma totemica esaustiva.

XXXXII

Non so cosa credesti
ne derivasse in cambio a te,
ma con gesto conscio, o inconscio, anzi,

hai consegnato il tuo cuore, sede della tua anima,
atma, vale a dire ciò che piace,
lasciando che altri convenissero per te.

O forse lo hai venduto
in cambio d'un miracolo che non potrà venirne mai,
persuasa ad acquistare non risolta autonomia

scambiandola per libertà .
Hai devoluto la libertà di amare,
che è tutto.

XXXXI

Sì, prevalgo
su follia e sostanza

anche se non potrò dirmi mai vincente

ma prevalgo, sì
e stavolta
sobrio di emotività, come si dice,
riuscendo a tagliar via quel mio pretesto

l'emotività 
male intesa parentesi tra reazione e azione
che all'agire mi fece cuscinetto
da scudo al reagire

imperrocchè 

fui sempre diviso nel comportamento
inventandone del mio
in aggressività e passività distinti
quando fossi privo dell'intermediario mio.

Lettera aperta.

Lorenzo Filipponi, poeta visionario già conosciuto in Italia ( vive a Roma ),
propone a Tutti coloro che vorranno rappresentare i cinque continenti di
eleggere un "Campione" che li rappresenti singolarmente.
La gara poetica è nata con la parola, da queste gare sono nati i proverbi,
detti di saggezza espressa dai popoli affermatisi come massima espressione
di civiltà; nascono prima come integrativi e poi diventano sostitutivi del 
Verbo.
Le gare poetiche vennero sostituite da prove di forza e non più di intelletto
solo a seguito dell'"imbarbarimento" delle società, dei popoli e delle nazioni.
Lascio agli storici testimoniarlo, penso al passaggio dalla gara alla disfida.
Sono disponibile a rappresentare il Vecchio Continente, a meno che non si 
presentino altri aspiranti con i quali confrontarmi.
Lasciamo sul pianeta, a chiunque verrà, fossero anche le sole generazioni
che si susseguono, epigrafi e non epitaffi.
Lascio a lorsignori la messa a punto dei dettagli.

XXXX

Aspettare, in fondo
che si srotoli il fato
come pellicola non ancora veduta

indovinata
almeno poco prima
che le accenda i fotogrammi il sole

io non ossequiente 
agli estranei coinvolgimenti
stacchi di onte violanti la mia vita

riserbose concrezioni di sutura
di immaginose sferzate strappate al mio dolore
dai latranti guaiti della mente intirizzita

dal gelo del vuoto
già predisposto e noto:
son sibili di fronda con miei eguali

per lanciarmi
incauto
unico prodigio ribaltante

per ira ancora contro le serrate mura
dell'indiviso spettro
ch'esala roco

pochi crudi rantoli dispersi nell'intenso fumo
rigidi riflessi di metallo
per scontrarci e sempre e sempre con occhiate divergenti che scambiamo

su le nostre comuni vite
già disperse nel passato.
Memoria di future regressioni.

XXXIX

Ieri notte valium
mi ero promesso è l'ultimo

ma la testa era una giostra di felicità 
direi

per le tue parole belle
per la solidarietà 

per un affetto
che riesco finalmente a intravedere

così enorme
così vasto

così gratuito e illimitato
questo tuo

senza che capissi il perché 
proprio tu, proprio per me

e rimango allibito
forse stranito

per essere stato catturato impreparato
da un amore che non so inquadrare

che non è sesso
che non è possesso

che non avevo colto ancora mai
che cercavo in alto e trovo in terra

rivelato da te
incommensurabilmente amata
a me, per me, non so perché davvero.

Lettera aperta.

Hai rappresentato e rappresenti, so quanto, l'anello mancante; proprio uno
di quelli che si fissano a muro per legare bestie da soma.
Il muro è l'Assoluto.
Per la seconda volta mi sottoponi all'esame dell'identico rebus, il
complesso di Edipo, il fondamento delle intemperanze nei rapporti
con la donna, cioè l'eccessiva considerazione; ed in quelle con l'uomo, cioè
considerazione scarsa o assente per la originaria rimozione.
Una prima condizione, tre anni fa, rivelò intenzioni assassine, esito di
invenzioni straniate, perché amo il teatro, ma non tocco una mosca.
La condizione manifesta mi impedì di viaggiare, intendevo accompagnarmi
ad un coltello: intendevo, cioè, prevalere su la figura del padre
per avere il possesso della terra /madre. Io, figlio di dio.
Negli ultimi mesi ripeteste la trappola, volevate rassicurarvi che avessi compreso;
tu, analista/madre, e lui, che ti ha ispirata e difesa nel gioco,
trascendente le capacità di offesa delle quali disponevo.
E, ancora cocciuto, ancora ingordo, ancora infantile, agivo inerme.
Erano per te la rosellina rosa ed il confetto bianco: ti sosteneva nei miei attacchi
egoici, ti dava modo di costruire il suo ruolo per me; ma non volli sentir 
ragioni.
Avanzavo,inflessibile, contro di lui.
Quel peccato di superbia non si sarebbe sciolto con trenta giornate
di trattamento obbligatorio, potendo, il ciclotimico che tende all'assoluto,
optare impertinente tra follia o padre, tutto è dio. Ma follia è competizione,
entrare nella luce è amore, chiarezza, consonanza con le vibrazioni dell'energia.
Una volta ancora  mi ha lasciato scegliere da che parte stare,
ma, questa volta, mi ha elargito il tuo aiuto.
Grandi.

XXXVIII

Come il falco
che si inebria d'altezza
e si impenna volando

e l'aria abbracciando
si inerpica diritto
guidato dal sole

così, inebriato di te
mi innalzai dalla morte 
mi orientai con le stelle

per sfondare nel cielo
per veder la cometa
per afferrarne l'anello

che mi separa e mi congiunge
all'Assoluto.

Sei tu, quell'anello.
Tu.

XXXVII

Senza altri pretesti che arrestino
il prodigio dell'Intento che dispose
libere sequele fluite nel corso prefissato

che libero non è dalle occasioni
ricercate, estorte
alle voci richiamate dal profondo

ogni volta più forti, quasi che
scavando, s'ispessisse l'estro
rivelando densità più condensate

l'estro
che non cede al diluente del dolore
dell'amore

soltanto al raschiar della lametta alle pareti
catramose dello stomaco
che l'alcol può disciogliere

lasciandomi privo di sensi
non più diviso tra piacere e pena
o senza contrasti con la morte

catatonico invitato mai più succube di scelte
privo per estrema scelta, prima e ultima
che feci e che ricordo

non capace di finirla, mai,
ed invero fu scelta per la vita 
che non volevo e 

cercai i motivi d'esser sedotto, allora,
per rinascere
ancora

se pure motivi insufficienti a ritirar la mia bestemmia
che si compì due volte almeno
volendo morire nella follia e nel bere

intoccabile diverso
e da intoccabile
avrei trascorso così anche questa vita

quando è sopraggiunta la variante 
rinvenuta non da me
ma da me accettata come stimolo supremo

del proponente
dell'Amore che si manifestò due volte
per alcol e per follia

distinti, inconfondibili.
E io, soltanto,
non mi confusi ancora.

XXXVI

Ti modelli, venata pietra levigata
oviforme lingham
e la serenità arriva
quando ti acquieti

a occupare il cavo del mio ventre  
assorbendo il tenace tormento
che provo quando riduco
la masticazione ad un solo lento contatto

delle pareti,
cannibali dall'eternità,
allo sforzato dilatarsi 
senza probabile successo

con il liquido strumento di tortura.

XXXV

Ho persino provato
a restar sempre muto
incidendo al più 
inintelligibili righe

smarcando con gli occhi
i colori di fiaba
e la vita rincorsa
che non seppi afferrare.

Oltre a questo ho cercato
d'ingoiare quel mostro
che non volli mostrare
per non essere tedioso

se intasavo il pianeta
con quest'altra figura
che portava nel senno
libertà per gli umani.

Ho rinunciato soltanto
per il pretesto sconfitto
e calai il mio sipario
sul prolungato silenzio

e sono sceso sfinito
e riacceso d'amore

e ho accettato la vita
che non lascia mai scampo.

A chi nasce creatore
nonostante sé stesso.

XXXIV

Esodi, si intrecciano voli
rincorse sciamanti a miriadi

più avanti
un sogno creduto perduto

l'evento  cercato
rientrare nel corpo dopo che

la nascita
nell'anima del germe dischiuso

tanto sottrasse, ottundente scompenso
a questa vita inseguita.

XXXIII

Baluardi recinti di rose
di spine
coltelli

guerrieri disposti alla morte
assassini
credenti

la scimmia non trova la via
il demonio
il suo varco

sarà trapassato alla porta
e il roseto
macchiato

resterà confitto a quel legno
porco bianco
egoista

l'egoista che il Cristo sfidò
sulla croce
inchiodato

resterai difesa da Dio
a osservare
il tuo male

uscirai dalla rocca già donna
l'uomo in te
piangerai

asciugando quel velo di pianto
amore
scambierai
soltanto.

XXXII

Ho giocato con il mio Maestro
sull'onda dei suoi Lila
divertimenti per l'intelletto 
che ha predisposto per me.

Ho perso con il mio Maestro
per non aver raccolto
distratto dai miei guai
tutti i messaggi suoi.

Ho vinto con il mio Maestro
per avergli risposto 
almeno una volta
di quante m'ha chiamato.

Ho pareggiato con il mio Maestro
sceso per farsi uomo
e dimostrare a me
che sono anch'io Dio vero.

Epilogo.

Un essere umano è parte dell'Intero che chiamiamo Universo,
una parte limitata nel tempo e nello spazio.
Ha un' esperienza di sé, dei suoi pensieri e sentimenti come fosse separato dal resto,
una sorta di illusione ottica della sua coscienza.
Questa illusione è per noi come una prigione, che ci limita ai nostri desideri personali
e all'affetto per poche persone che ci sono vicine.
Il nostro compito deve essere liberarci da questa prigione, ampliando la nostra cerchia di compassione per includere ogni creatura vivente
e l'intera natura nella sua bellezza.

Albert Einstein.

Doppio ringraziamento.

Doppio ringraziamento, sentito:
ad Elisa, che mi ha s-catenato dall'opportunismo
conferendomi il pieno di audacia,
ad Enrico Guerriero per avermi convinto che
la Strada è per tutti.

XXXI

Rimango estasiato quelle volte che ti osservo
scura calandra che sù in alto affronti il sole
che si occupi di te, perché il tuo canto, sai,
lo scioglierà in lacrime d'amore.

Ti sollevi dal campo come la farfalla
snodando con leggerezza le ali morbide dal corpo,
ti innalzi diritta, come grido verso il cielo
inseminando l'aria della melodia d'aprile.

La paragono a te, sai, amica conosciuta
per come affronti, con premura sbarazzina
la bassura della vita; ti adoperi a sfuggirle così,
con la letizia di ritrovare il cielo chiaro.

Più in alto che puoi.

XXX

Ed aspettiamo l'onda successiva
che avanza srotolandosi nel bianco e
ci raggiunge, quando ci stringiamo
per proteggerci, ridendo, da quel fresco
che ci sommerge velandoci di sabbia che

si modella sui nostri corpi uniti
nel bacio che scambiamo sulla battigia nudi.

XXIX

Rintocca bruciante la mia morte, ora che arriva
sono gocce di piombo ritmate fuse dentro
lasciate cadere dall'inferno, da quel cielo
che adesso maledico, così anche tradendo.

Morte assassina, scacci la mia vita
spesa a evitarti con costante protervia
per correre appresso al sogno astratto
di liberarsi di te, cioè, vivo tra vivi.

Morte, mi hai colto, potente come dardo
scagliato da distante per mano di fantasma
non capace di scegliere, dal fondo del buio suo,
cos'è il peggio, separandolo da quel che meglio è.

Morte, mi stronchi nel mezzo dei miei anni
mi chiami al mondo tuo fatto di niente
io che, sopravvivente, sono nel nulla
senza più lei.

XXVIII

Non mi sono infranto contro un'alta scogliera
disperdendo i mille gabbiani abbarbicati sopra
come consideravo che sarebbe stato

né anomala onda schiumante m' ha sommerso
e inabissato a picco in lunghi vortici neri
come anche meditavo fin da sempre

o per sempre ancora arenato su isola di sogno
ad assopire in quiete cento estasi mie
così come forse più volevo dentro

o allora vagare, deciso e maledetto,
sfondando di prora il vento sibilante
le rotte interminabili a proseguir da solo

ma qui dentro una tinozza son finito
coperto dall'ombrellone colorato a spicchi
per non sentire poi bruciare la mia pelle.

XXVII

Dovevo sentirti, ho avuto un attimo
di disorientamento
quando capivo che, di nuovo,
il lastricato lucido di nebbia

rappresa e sospesa

dell'immagine mia evanescente

si srotolava ripido

sotto piedi malfermi

dimentichi di portarmi eretto.

Ho ceduto senza ritegno
attirato dal ridondìo di cozzaglia di lame
che al fondo suonava

segnale di scontro inumano
che raggiungevo, votato.

E piombavo, nel centro,
scagliato lì da spropositata catapulta
a ritrovare dimensioni opportune
al mio urto possente
ed all'urlo
dimentico di astrazioni passate.

Ed allora sfregiare lo specchio
con diamanti taglienti
derubati
alle mie fantasie.

E morirmi riflesso, colpendo, impietoso.

Quando ho chiamato te.

XXVI

Liberate lo Spazio dai vostri
ordigni
ancora scagliati
nel labirinto di echi
meccanici
stridenti
per la mente che, ancora, lo attraversa

guidata dal Suono
quand'è chiamata.

Non c'è altro da cercare.
E' Tutto qui,
così com'E'.

XXV

Vola ancora, Falco, dammi lo spunto
per raccontare la ciclica passione
voglia di volar sempre più in alto
per superare il senno e la ragione
che pongono limiti che noi non accettiamo
e, affrontando il buio della notte,
oltrepassiamo il valico fissato
per arrivare alla Tenebra Assoluta
così come Aristotele sostenne:
    
    "Più le cose divine sono alte e chiare 
     più per noi son sconosciute e oscure."

La nostra esperienza non è più appropriazione
ma spossessamento e alienazione,
non è fulgore che con mente percepiamo
ma offuscamento cui si arrende la ragione

non avanzare in chiarità e ricchezza

ma sprofondare, ed incagliarsi, in cecità e buiore.

È questo che disse, chiaro, Juan de la Cruz
nel Cinquecento mistico e pittore e anch'egli ciclotimico
come altri che mi han sostenuto da lassù
nello sforzo immane che andavo compiendo
consapevolmente o non, anche con loro e
Juan racconta qui cosa oltre quel buio avviene:  
    
    "Più salivo in alto
     più il mio sguardo s'offuscava,
     e più l'aspra conquista
     fu un'opera di buio;
    
     ma nella furia amorosa
     ciecamente m'avventai
     così in alto, così in alto
     che raggiunsi la preda."

A tutti i fratelli che mi hanno sostenuto
questa vittoria di questa donna e mia.

XXIV

Fuori-corsa d'ascensore
decapitata torre
delle nostre architetture

irta di antenne
imbullonate sopra pali rugginosi
verticali grazie a un groviglio di tensori

che si aprono a tenda, a ragnatela
inchiodati sul perimetro terrazzato
dell'ultimo livello edificato e

in mezzo al metallo, sopravvissuto ancora, un merlo
protetto come nel roveto di un biancospino
trova il varco per poggiarsi più in alto

nel pomeriggio grigio

e di lì ripete il canto
che lo decreta feudatario
dell'isolato urbano.

XXIII

Sono perso, ma so che ne uscirò;
è passione ciclica che immette dentro il dubbio
della pazzia completa, e dura da un minuto.

Osservo il pollice uncinato sul taccuino
m'incanto ad inseguire quel ronzio lontano
credo poco o niente all'evoluzione conquistata.

Tutto è distante, il tempo l'ha sepolta
quell'analisi difesa fino ad ora;
il risultato è questo: esco da me.

Cerco una sigaretta, poggio tutto 
ecco, una nazionale senza filtro;
riprendono contorno i mobili, anche colore. 

Son più felice che si esprima tutt'assieme
e che sia di intensità così elevata
perché so che è alle ultime battute.

Se dovessi spiegare cos'è stato
risponderei niente, ora; ed era invece tutto.

Non era mistica, nemmeno, era pulita;
è un mio mondo parallelo che ho intraveduto a tratti.

XXII

L'alba si veste ballerina
nelle sue movenze scarlatte
le ombre legate della notte
si distendono risvegliate.

I colli che ti accolgono
sono ripartiti dalle vigne
dalle macchie dei quercioli
dai filari dei cipressi frangivento.

Il casale, nella bruma del mattino
si stacca dalla terra come monte
poi come da rocca arrampicata sopra
si stagliano le tue finestre, specchi di sole.

Tu stai sognando, veglia per te il tuo Angelo
veglia sulla pace che hai nel cuore
per mantenere accesa la tua fiamma grande
dormi, cometa, dove passi tu che resti amore.

XXI

Sopravvissuto Falco, alato menestrello
in silenzio riverente attendi in cielo
con ali distese volteggiando immoto
l'esito che attende al falconiere tuo
di dar forma al mondo fatto di terra
di trovar quei nessi ancora non veduti
di vestir pensieri smarriti in gioventù 
di lasciare indietro i troppo vivi forti amori

ultimo legame col passato incerto

prima che compia la trasformazione
prima che segua la sua via prescelta
prima che scinda infine tutto questo
prima che scelga l'estro da inseguire
prima che insegua le emozioni ancora

che sempre lo hanno diviso dal mondo conosciuto

potendosi così trovare allora
nel limbo, nell'inferno o in paradiso
stratega grande del suo dubbio, illuminato genio
che insegue anche la pista dei bisonti
per ritrovarsi forte tra i fratelli suoi

e non teme più il confronto con lo spazio
dove la mente ingoia sé dentro un supplizio
offrendosi al calvario triangolato

segnale di Dio quando quel dio non è

mentendosi per poter contravvenire
alle logiche esaustive dei mortali
scemando la sua corsa sconvolgente
in prossimità del niente, creatura primitiva
dell'Assoluto Nulla, origine del Tutto

simbiotiche pulsioni in alternanza
entrambi vere, entrambi vive, coesistenti,
battito di un cuore esagerato, immenso
del quale vuole sentire anche il rumore
lo scorrere del sangue nei canali
limpidi fiumi enormi come un Cosmo
che avanzano lenti nel Suono inconsistente

flussi leggeri di energie solari
che portano la vita in ogni dove
dove si bagna l'anima di lui
che compie adesso la sospirata metamorfosi

vecchio pirata che ormeggia il suo vascello

folle provato che accusa la stanchezza 

che si ritirerà, come dalla sostanza prima,
forse per avere a nausea anche l'inebrezza.

Volteggia, Falco fratello, su nel cielo
anche questa pelle mia tolgo di dosso
se cambio in serpe con chi m'ama t'autorizzo
ma confido non dover conoscere i tuoi rostri.

XX

Il vento, a volte, spinge
forte sui vetri,
il sole
disegna rappezzi sulle pareti 
qui in casa
nelle ore più calde
di una fredda giornata 
passata
anche questa
a cogliere nessi sfuggiti
il senso dei fatti accaduti
a cogliere noi
intriganti nell'ombra
a sciogliere il nostro destino
a sanare le colpe
di una vita trascorsa nel dubbio
se era giusto immolarsi
o piuttosto lasciare che il Tempo
risolvesse per noi.

XIX

L'amore mi unisce a te,
c'è comprensione e grande affetto.
Spesso le nostre vedute coincidono,
piccole e grandi attenzioni,
princìpi comuni.
La sostanza ci aspetta ovunque,
ci riscattiamo giorno dopo giorno;
quando cadiamo non ci riconosciamo più.

Rialzarsi è compito individuale,
si riconosce nel dolore dell'altro la propria inettitudine
ma tutto ridiventa incomprensibile
la difficoltà va affrontata a cuore aperto.

Riportare il macigno in cima alla montagna
non vivere la vita contro la vita
la nostra attenzione profonda è rivolta solo a questo.

La margherita, piccolo fiore bianco, nell'incantesimo 
di una rinascita, ci restituirà, anche lei,
il senno perduto. Per un amore riconosciuto.

mercoledì 21 maggio 2014

XVIII

Una poesia descrittiva, una cantilena, una nenia,
una ninna nanna espirata con canto cristallino,
fasciato da profumate strisce di cotone, candide,
asciutte, soffici, avvolgenti: il calore resta là
catturato dalla morbidezza, ideale per accogliere
le pipì che seguiranno a quel lavoro certosino;

e poi daccapo, con la medesima perizia, con più 
accortezza, se possibile, reimparando ogni volta
gesti  d'amore ripetuti nella giornata e in quelle
che l'hanno preceduta e che verranno poi, ancora
con l'attenzione rivolta al gesto compiuto che non
sa macchiarsi di istupidita meccanicità.

Dopo anni e anni di frequentazione di centri,
passando i pomeriggi appoggiato a un muro con la fronte
gli occhi chiusi nel tentativo di sospendere  pensieri
- quel silenzio della mente tanto vagheggiato e inseguito -
che peccaminosamente continuavano a girare come trottole,
soltanto dopo altrettanti anni ho compreso che la meditazione consiste nel
riporre l'estrema, direi tutta, attenzione a quel che faccio
nel preciso momento in cui lo faccio, e corrisponde
al qui e ora di buona memoria.

In poche sufficienti parole
concentrarsi senza distrarsi e le corrispondenti etimologie
mi confortano appieno, una contraddizione latina apprezzabile
che si traduce nel sapere quel che si sta facendo e farlo al meglio.

Involtolare il neonato nei panni morbidi che lo mantengono asciutto,
scegliendo di fare solo questo, per ora, una cosa alla volta, è meditazione.

XVII

Ho immaginato lo studio come premessa all'emancipazione,
l'emancipazione come premessa alla libertà.
In fondo, passaggi semplici e condivisibili da chiunque.

Lo studio, non necessariamente su libri di testo,
l'emancipazione, non necessariamente dalla famiglia,
la libertà, non necessariamente dall'oppressore.

Ho studiato il volto di un uomo piegato e piagato dalla sostanza,
nei suoi occhi senza più attese nemmeno una lacrima; 
non ricordava  più che il dolore si allevia nel pianto.

Ho assistito ad uno scatto di reni, forse la volontà ha lì la sua radice,
di uno sconosciuto, vicino di sedia, che terminò con - Ce la faccio da adesso - ;
si era convinto che la sola rinuncia poteva offrirgli la via d'uscita che poi trovò.

Ho riso quella prima volta a cena con tanti altri, e ce la stavamo facendo,
allorquando il cameriere portò in tavola due brocche di quello della casa 
e alla frutta le ritrovò intatte nello stesso posto, proprio al centro della tavolata.

Non sapete che buon vino fa buon sangue?
E Lei sa da quanti anni tentiamo di dimostrarlo?
La libertà è l'ultima a soccombere, detto tra noi.

XVI

Dò fuoco all'ultima del pacchetto, le altre
le ho consumate con l'accanimento di chi non sa gustare
di quello che le succhia tra le labbra
con la testa a quella che seguirà
e poi all'altra e a quell'altra ancora,
esprimendo pienamente la stagione compulsiva 
che ho sempre e solo conosciuta.

Un giorno, forse, la speranza è dura a morire,
quella parte, essenza dell'anima, che prosegue il cammino
anche oltre e oltre e oltre,
tentando di redimere dalla fretta, dalla solerzia,
dall'efficienza che rende robot
fino a che non affiora il dolore
che porta alla perdita dell'Amato
che usava  comparire come donna intravista
e conosciuta a stento
poi scavalcata di slancio per approdare alla successiva,
cercando più vivida luce, e poi ancora e poi ancora
e poi ancora.

Ho disseminato il mio percorso di tappe forzate
per raggiungere il Traguardo,
illusione della vita, delusione per chi mi seguì:
lo striscione finale informava PARTENZA,
mille viottoli a raggiera lo contornavano anonimi.

Presi il mio, che riconobbi per la fiammella, in fondo.
Nell'oscurità.

XV

Un giorno dovrebbe bastare, si dice; anzi,
no,
è da fare subito, ora, ora, proprio ora, e iniziamo,
e portiamolo a compimento, or ora, niente indugi,
conveniamo, condividiamo, unifichiamo
le vedute
anche se distanti, differenziate, disomogenee
talvolta contrastanti, no, no, no, ce la facciamo,
concordiamo, abbassiamo i toni, per il paese,
per la patria, per il presidente,

ora, ora, ora
no agli indugi, siamo sull'orlo, siamo al limite,
la tenuta sociale, sì, sì, all'opera senza se e senza ma,
per la cittadinanza, le generazioni future, il disagio,
le possibili ricadute, non rimandare ancora una volta
una scelta necessaria
indispensabile.

Un giorno dovrebbe bastare, si dice; anzi
no,
è da fare subito, ora, ora, proprio ora; e iniziamo,
e portiamolo a compimento.

Sì, sì, sì, portiamolo a compimento.
Sì, sì, sì, portiamolo a compimento.
Sì, sì, sì, portiamolo a compimento.
Sì, sì, sì.

XIV

Sono disgustato. 
Come approccio al testo che verrà
i primi due termini sembrano escludere lirica e condiscendenza.

I versi come opposizione, descrizione di posizioni temerarie,
che si oppongono, che recuperano la natura
e la reale e logica e obiettiva matematica.

Che arruolano la matematica per spuntare fattori relazionali.
La ricomposizione degli opposti, l'estrazione della follia prevalente,
il luogo comune.

Comune a chi?

Agli interessati.

Il nodo dell'equazione si scioglie nell'eguaglianza,
quando la perfezione della parità a lungo inseguita
faticosamente ricercata
lascia scivolare veli d'interpretazione, d'errore e
d'orrore, per la soggettività ignorante che la interpreta,
che vuole farne verità
prima ancora 
di svelare la risposta da seguire.

La nuda verità, s'il vous plaît.