lunedì 23 giugno 2014

Miseria e Nobiltà.

Un aneddoto.
Enrico Guerriero, basterebbe il cognome, fu, per anni, l'uomo che
più di ogni altro
mi sollecitò a cercare la strada
in quel suo salone interrato pavimentato con la moquette per non gelarci i piedi
d'inverno
ed attutire i colpi delle pratiche fisiche che eseguivamo;
luogo di riti antichi, di silenzi protratti, talvolta, fino a raggiungere
anche il silenzio della mente da parte di alcuni dei cinquanta presenti,
schiena al muro e gambe incrociate. E le sue parole che, ad ogni incontro,
e ne avevamo tre a settimana, ci stupivano per conoscenza e profondità,
facenti riferimento ad una mole impressionante di comunicazioni e 
di interventi, di chiarimenti insomma, che senza sforzo riuscì a darci,
prima di volare oltre.
Una sera apostrofò due amiche del gruppo che portavano
calzini spaiati di diverso colore, dicendo ad una delle due
"Tu non puoi portarli spaiati, la tua amica si!"
il che ci apparve come una di quelle asserzioni più simile ad un
indovinello orientale così irrisolvibile per noi occidentali
piuttosto che un rilievo di natura estetica;
si spiegò subito dopo sostenendo che l'una li aveva indossati con la 
consapevolezza che fossero spaiati, mentre l'altra per la confusione che
aveva nei cassetti dell'armadio, e distrattamente, con sciatteria.
Era in grado di vedere la consapevolezza altrui e il livello che questa raggiungeva
in chi gli si presentava davanti
e risvegliava in noi la attenzione, la presenza a sé stessi nelle nostre teste
rese dure e insensibili perché assediate dalla mentalità,
fino a quando non vedeva in noi l'impiego e non più 
la stagnazione della mente, per farci proprio arrivare al dubbio
esattamente come invita a fare Cartesio con il suo "Cogito ergo sum"
al quale non sarebbe pervenuto se Hume non avesse precedentemente
asserito "Dubito ergo sum", laddove è proprio il dubbio che frantuma
la ottusa e rigida mentalità per approdare al pensiero libero da schemi,
alla congettura, al ragionamento, alla osservazione acuta e fluida.
La goccia d'acqua fora la roccia, la roccia non può forare l'acqua.
La goccia d'acqua fluida fora la rigidità del ghiaccio.
Il fluire dell'acqua più sottile cioè il suo invisibile evaporare,
il terzo stadio,
solleva tonnellate d'acqua dalla superficie del mare non percepibili
con l'occhio: l'intuizione, l'improvvisa illuminazione, 
che si nutre del libero pensiero,
quello che, pur non vedendo, legge, come solo un matematico sa fare,
con la sua scienza esatta, più di altri, scienza che è da sempre
supporto indispensabile alle altre scienze, fisica, chimica, astronomia
ed alle arti, musica, danza, geometria che disegna figure innaturali,
alle altre arti raffigurative, pittura, scultura, fotografia, 
pervadendo ogni attività umana completamente.
La matematica come scoperta originaria dell'uomo che consente
speculazione all'intelletto.
Miseria e nobiltà, la miseria del bevitore che non si riconosce alcolizzato
e la nobiltà di uscirne giorno dopo giorno; la miseria del disturbato di mente
che non può vedere la follia che porta con sé e la nobiltà di arrivare a concepirsi
soldato semplice e non Napoleone, rimettendo infine i piedi per terra.
Fluire nell'acqua che risveglia, respirare aria ripulita da suggestioni malate,
farsi fiamma sapendo che il Sole non è ancora Luce,
rincorrere l'incontro con la Luce e, incontrandola, saperla accogliere
senza timore o esaltazione, convinto che la spiritualità individuale
che si fa Luce è già Luce.
E' l'Assoluto che travalica i distinguo e le differenze, 
l'Uno ed il Tutto simultaneamente,
il Così sia, quasi imperativo,
che cancella il così è stato, il così è, il così sarà,
l'eterno presente simboleggiato dalla Ohm
che inchioda il tempo
lasciandolo apparentemente libero di scorrere nello spazio
che si rattrappisce nel vuoto, anche se non lo si percepisce.
La teoria degli opposti
dell'Uno e del Tutto apparentemente non conciliabili,
dell'Uno e dello zero
principio della coesistenza del materiale con l'immateriale
supporto unico ai fini della concezione di elaboratori meccanici
ai quali non potremmo concedere diversa impostazione.
La incongruità che scaturisce dalla moltiplicazione di qualsiasi
numero per lo zero e che riproduce implacabilmente
il medesimo risultato, il nulla,
a conferma della espansione e della contrazione che contraddistinguono
i continui assestamenti degli infiniti cosmi infiniti
che solo pochi riescono a indagare
e sempre impiegando la matematica come supporto di indagine,
incontro-scontro che azzera certezze
il conosciuto ed il conoscibile varianti precarie
soggetti alle formule che definiscono le Serie Infinite, espedienti che
consentirono ad uno di noi di approdare alla definizione di energia ed alla
individuazione, non solo teorica, di elementi caratterizzati da una sola 
peculiarità,
quella dell'ubiquità: il singolo quanto, ed è accertato che sono 
di numero infinito.
L'uno e il trino è già provato scientificamente, così come l'uno e il settino,
l'uno e il centino, l'uno e l'infinito o il tutto.
Ciò ha consentito a guide illuminate di dimostrare con dati certi
quanto già avevano conosciuto per via intuitiva, l'esistenza cioè 
di più stati di realtà.
In virtù dell'esistenza di infiniti cosmi infiniti è lecito supporre che
i testi della Cabala
Vadim Zeland con "Lo spazio delle varianti", "Il fruscio delle stelle del mattino"
e "Avanti nel passato"
Choelo
La Bailey con il "Trattato dei sette raggi",
le Guide, che dapprima avevano definito con rigore scientifico sette stati di realtà,
successivamente ne tracciano altri tredici
per i quali stanno aspettando che la comunità scientifica li raggiunga per le
certificazioni,
e ne hanno in serbo altri mille, e la loro supposizione è che esistano infiniti
stati di realtà che vanno a costituire, assieme, la Realtà che stiamo cercando
con foga un po' tutti.
Ma la matematica ci permette anche di leggere le vibrazioni,
di misurarle, di modificarle,
di adattarle per infinite modalità di impiego e
ciò che non vediamo e non sentiamo e non udiamo, 
non annusiamo e non tocchiamo con mano, ebbene,
questo viene portato lentamente alla luce,
come si fa con uno scavo archeologico, procedendo cioè per strati.
Un po' come defoliare un carciofo, senza però arrivare mai al cuore.
 

domenica 22 giugno 2014

de l'ALCOLISMO e la BIPOLARITÀ .

Cara Francesca, ti ringrazio molto per quello che fai per la miglior
riuscita del seminario.
Devo confessarti la mia felicità nel leggere le parole scritte nel tuo 
commento; innanzitutto perché hai colto appieno lo spirito che 
aleggia nella traccia in tre punti, della quale converseremo insieme
con le praticanti; è proprio quello lo spirito che intendevo far scaturire
dalle indicazioni supportate dalla idea di fondo che l'alcolismo 
(malattia che ritengo sempre accompagnata, correlata, alla patologia 
di bi-polarismo, più o meno evidente e grave) comporta, qualora non
se ne uscisse attuando proprio quei tre passaggi descritti (MENTALITÀ -
INTELLETTO - COSCIENZA) che l'alcolismo, dicevo, rimanga una
reale condizione psicofisica assolutamente irreversibile e non ci sono
né santi né madonne per uscirne.
Si diventa e si resta niente più che uno zombie da scansare, come 
ben sai: un vero e proprio lutto, perché corrisponde ad un reale ed
in-cosciente suicidio della persona. Il vivente si trasforma in morto-
che-cammina, e cammina solo a condizione di assumere alcol in
quantità, te lo dico per esperienza diretta, assolutamente spropositate.
Questo per quanto concerne la tua acuta osservazione, che l'alcolismo
è, di fatto un lutto.
Ma la mia osservazione non si ferma qui.
Il solo fatto di riuscire, discutendo su questa traccia, a rientrare nel
tema principale dell'incontro e cioè l'esperienza che ho (e non
che ho avuto, perché la questione è tuttora in ballo) con l'alcolismo,
accompagnato dalla ciclotimia (o viceversa, la patologia composta
sempre quella è) mi autorizza a porre una certa domanda, cioè se
all'alcolista attivo si può tendere una mano, e come.
Porgendogli un bastone per estrarlo dalle sabbie mobili, bastone che
non afferrerà mai perché lì dentro ci si crogiola?
Con la tolleranza, vale a dire semplicemente sopportandolo?
Con la compassione, vale a dire patendo assieme a lui?
O con la pietà tout-court, che non si sa bene cosa sia, ma che, di
certo, non può aiutarlo?
O, infine, tentare di convincerlo con mille argomentazioni logiche
a smettere di bere? 
Non funziona; semplicemente non serve, assolutamente, a nulla.
Mi spiego meglio. 
Il riscatto, vale a dire il ri-scatto, lo scatto che si ripete nella
direzione della vita, anche solo biologica, o addirittura della
Vita in senso anche spirituale, è quello che nei gruppi
chiamiamo Rinascita (ovvero ripetizione della nascita, venire
ancora una volta al mondo reale), quel riscatto, dicevo, è in
verità una reale molla interiore compressa e carica, pronta ad
espandersi, anche istantaneamente (come la molla di un fucile
subacqueo carico) se viene opportunamente sollecitata. Perché 
l'alcolizzato, in fondo, non vuole morire: è una protesta quella
che mette in atto bevendo, una protesta, ammalatasi a causa 
della dipendenza mentale e fisica che subentra e che si dimentica
anche di essere nata come protesta.
Qual'è la sollecitazione vincente che può riuscire a far scattare
questa molla compressa, se il grilletto non è inceppato?
Per arrivare a ricostituire l'antenna della ricezione del
messaggio che viene da fuori di sé, nonché la sua comprensione
nell'animo del nostro amico del quale parliamo (il che avviene
non per volontà dell'alcolista ma per la sua resa ad un sentimento),
l'amor proprio sembra essere l'impulso più possente al quale può 
rivolgersi il singolo nel problema, e parte proprio da lui questo
impulso allo scatto.
Dunque l'amor proprio  è lo stimolo da sollecitare, e l'esempio
del risultato tangibile di quanti hanno raggiunto l'astinenza, fra
coloro che siedono accanto a lui nel gruppo, aumenta le
probabilità si successo.
Questo evento può avvenire all'interno del gruppo durante
una riunione (molto spesso avviene proprio alla prima riunione);
o anche parlandone con un amico uscito dal problema, con il
quale accetti di parlare prima della riunione; o anche in una seduta
di psicoterapia se opportunamente stimolato; o anche, addirittura,
standosene una mezz'ora in silenzio seduto sulla sabbia,
aspettando un'alba nella quale sarà lui stesso a far sorgere
il Sole, anche per sé stavolta.
Ti abbraccio forte forte.

Grazie, Lorenzo, di questa tua lettera che trovo bellissima.
Ti voglio dire subito - senza frapporre altri pensieri - che,
leggendola, mi è venuto in mente ciò per cui un terapeuta
fa il suo mestiere (ma anche un alcolista recuperato, credo):
in ognuno c'è sempre una parte, per quanto piccola, che vuole
vivere e vuole prendere la strada giusta per amare sé stesso,
l'altro e il mondo. Il compito è aiutarla a crescere, come una
piantina nel terreno inospitale.
A presto, Francesca.

giovedì 19 giugno 2014

CLXXII

Chiodi al muro, i quadri,
la stecca della tenda

musica, è notte, l'una
la brace della sigaretta

si può far poesia con poco
rispettando la cadenza

di povere parole scritte
con la voglia di dirti qualcosa

anche niente.

CLXXI

L'ultimo passo percorso dall'uomo
volge ad est, al Sole nascente,
quando il globo s'incendia di luce

e rispecchia le scie di aranciato
sopra il mare increspato di neve,
quando il cielo s'inarca nel giallo

e la Luna, da sola, resiste nel blu,
vedova degli astri.

L'ultimo passo percorso dall'uomo
ricorda un esilio, agli uccelli
che si alzano in volo e,

radenti sull'acqua, scompaiono,
accolti dall'orizzonte lontano.

L'ultimo passo percorso dall'uomo,
l'ultimo uomo,
rimasto a testimoniare la stirpe

conosciuta dai mondi vicini,
è più lieve degli altri, è sommesso,
è l'incontro dell'acqua coi piedi,

dell'onda col corpo.

L'ultimo passo dell'ultimo uomo
è un percorso di pace
risarcisce tracce profonde
che la Terra sigillerà.


CLXX

Ti ho rincorsa da sempre,
nelle bettole sentivo il tuo profumo

poggiato al bancone, gli specchi anneriti,
sapevo che ti avrei incontrata,

e non dove 
e non quando,

uccidendo il tempo
che serviva a cercarti.

CLXIX

Stanotte sognerò i tuoi occhi 
il mio cuore si arresterà d'incanto
ti rivedrò 
sospirerò con te

uniti nella tenerezza
d'un fresco abbraccio d'amore
sul tuo viso le mie mani, ti carezzo
le tue labbra lievi sulle mie guance

le tue mani per i miei baci ed il mio pianto
mi cullerai sul petto
ci assopiremo assieme
ed assieme lambiremo le scogliere del nostro dolore.

CLXVIII

Ti ho portato in dono nove rose
rosa son cinque per quanto il nostro amore è grande
rosse son tre per la passione che sempre ci accomuna

ed una è gialla, per quella punta di gelosia che non si spegnerà 
se non alla fine della strada.

Se dovessi arrivare prima di te
tornerò indietro, ti prenderò la mano
riprenderemo insieme a camminare, se lo vorrai tu.

mercoledì 18 giugno 2014

CLXVII

Ricordo ancora quello che scrissi allora
che eravamo uniti e ci apparì per sempre e invece
ho rincorso i tuoi occhi e la tua voce

nel fragore delle fiamme e in mezzo al cielo
ma t'ho ritrovata e questo per me è tutto.
E lo è anche per me, queste le rincorse tue parole.

PROESIA, scritto in prosa e versi.

Musiche come poche, stanotte, anche il resto va bene;
sei incazzata un po', ma passerà, come tutto passerà.
Vedrai, domani è un altro giorno (sembra proverbio ma è verità) e si vedrà, e
anche giocarsi una rima era segnato. 
E l'astruso titolo è combinazione.
Che campo a fare, allora, se non decido di me, per me, con me; che senso ha
se avrò quello che mi sarà dato, se non è poesia ma scrivo in versi,
e li trascrivo mano a mano ricordando quel che andavo pensando allora,
via via che le parole spuntano e mi dico "Sì, son queste!",
proprio quelle che decisi allora di trascrivere ora,
per questa riflessione scritta in versi e prosa,
standoti vicino, più vicino, con il cuore.
È il riverbero di un pensiero già partito dall'inizio, è quella poesia,
dal tempo dei tempi più remoti;
da quando udivamo ancora nenie nel moto dei pianeti,
il fragore di fuoco del corso delle stelle, il canto delle comete
e il silenzio che c'è fuori e, oltre, il sibilo degli universi accanto;
e il nulla ancora fino all'infinità, da dove veniamo da sempre,
sempre per redimerci, sempre per fare meglio della volta precedente,
sempre per riunirci un po' di più tra noi.
Forse la poesia non basta più davvero per capire il perché tutto è segnato,
anche queste righe, anche il tuo incazzo: tutto è segnato,
tutto è assegnato e ha un senso.
Anche il tuo incazzo, come sai tu stessa, ha un senso.
E tu l'hai scoperto anche stavolta.
Incazzati pure, amore mio, scoprirai di più: scoprirai d'esser stata Iddio
e che non lo ricordi più. 
Incazzati, amore mio.

CLXVI

Scriverò ancora versi
saranno l'arma
che scelgo per scortarti
andandocene per i campi di gramigna

che forse disturba il tuo passo;
pianterai poi i germogli del grano
li accudirai con le tue mani
sarà quel campo il tuo stesso rigoglio

la tua vita serena
la rocca dove vivere
le tue attività operose
le amicizie e gli affetti

la sorte che sceglierai
le tue mille cose così ben ordinate
i ricordi e i progetti
non finirai mai d'incantarti per avere tanto.

Rimarrò a portata di voce
all'incirca ai bordi del campo.

CLXV

Dammi il silenzio
per conoscerTi una prima volta,
resterò tra le tue braccia
finalmente indifeso.

Piangerò sommessamente
delle mie ricerche inutili,
delle mie vanità.

LasciaTi abbracciare una volta ancora,
e saprò ridere di me.   

CLXIV

Brividi, stanotte, in sogno,
è di domenica, è luminosa e fredda
i fiori si chinano al tuo passaggio

rallenta il Sole, ritarda la sera
poi, passeggiando, esplode il buio
e ricordo te, Regina, immacolata e sacra,

ricordo te Regina e gli occhi tuoi
le labbra e il corpo.
E me ne andavo con lo sguardo chino 

per non rubare più purezza al tuo bel viso,
e, accanto a te, andavo,
mentre un angelo lasciava un fiore sul cammino.

Il velluto della voce, poesia d'amore, sì,
andavo accanto a te, dolce Regina
per provare estasi, ancora, accanto a te.

Non ci fu dono più grande
(sto sublimando, sì, per non morire),
non c'è dono più grande che accanto a te,

e questo posso darti io, poca poesia,
da anni accanto a te, dolce Regina,
è tutto quel che posso darti, accanto a te.

La pace scenderà dal tuo bel viso,
pace in amore,
senza più chiedere, senza più dare,

solo con gli occhi parleremo, amata,
non più uno scritto, nessun gesto nemmeno,
solo con gli occhi parleremo, amata,

occhi fermi nella pace, occhi fermi nell'amore,
solo con gli occhi parleremo, amata,
senza rubar mai niente a tutti,

troppo bisognosi di te.

CLXIII

Al risveglio ti rivedo
Intenerita nel tuo sorriso
mi sei accanto, poi.

Di te tre foto appena.

Superbia maledetta
ci ha scoperti bambini
per corrugarci il cuore

Di te una penna d'oro.

Tu sola appari gioia
so bene come finirà 
il vuoto l'ho già dentro.

Di te un anello.

L'amore non so cos'è 
ma nei tuoi occhi sbarazzini
ho trovato anche la pace.

Di te il richiamo dentro.

martedì 17 giugno 2014

CLXII

Rotolando dal cielo
in pochi e silenziosi

si avvicinano presti
la notte delle stelle cadenti

ai baluardi di nera pietra
degli ultimi assediati,

confusi per la sconfitta,
e si approntano,

lucenti e disposti,
attorno alle mura difese,

500 alate furie
armate di vittoria e di lance 

contro oscuri baluardi
ultimi e dipinti di buio 
resistenti ancora,

CLXI

La poesia del silenzio traspare per pochi
da uno che è nulla, per svuotare da sola

il dilemma di sempre che riporta il pensiero
alle origini oscure del creato non visto

in quel suono disteso che accompagna l'inizio 
quando il tempo mai è, quando il sogno non incupisce,

quando era vita la morte
libera distesa di infinito
dove e quando la mia coscienza si ripartì.

CLX

silenzio, amore, vita e morte

È silenzio l'amore
e la morte non c'è

È silenzio l'amore
e la vita non c'è

e l'Amore di Morte è l'Amore di Vita 
e l'Amore di Vita è l'Amore di Morte

e il Silenzio dell'Amore è la Vita e la Morte. 

CLIX

Parquet e sette paralleligrafi
il camino è là in fondo.
Nello studio la voglia di riscatto mi opprime.

Tanto clamore per nulla
da me io mi aspetto di più 
che assopire il pensiero 

che legare la mente
che cessare di andare
e mi aspetto oltremodo

di rientrare alla quiete
che ritrovo già dentro 
se trascuro l'impulso

di inseguire la meta
che dà fama all'archista
quand'è omaggio di star.

Se coltivo l'istinto, in me non sviluppatosi,
di approdare ad essere la mia maschera cangiante,
per apparire nell'ambito d'intellettuali costruttivi
pianificatori d'asfalto e di cemento.

CLVIII

Ha piovuto, stanotte
il cielo è grigio.
Martellano al cantiere

riprendono i gabbiani il volo lento
di escursioni conosciute.
La città delle chiese

riaffronta il labirinto quotidiano.
La memoria affonda nel ripescaggio;
è il solo chiasso.

CLVII

C'è silenzio 
in questa notte di scirocco,
anche se le auto scorrono ancora,
anche se i bus rullano ancora.

C'è silenzio,
tra i libri sul comodino
e le cornici dei santi,
in questa notte di scirocco lento,

quando la sveglia segna la prima ora
e come sempre mi fermo dentro me
e mi riguardo,
operoso nel silenzio del mio cuore,

per ritrovarmi, anche stanotte di scirocco lento
e mitigante,
a dialogar con me,
tenendo la matita tra le dita e un foglio bianco.

Ora che non ho dolore,
ora che non ho piacere,
tra le coperte abbandonate sul mio corpo
e il bianco della stanza conosciuta,

ora che posso dialogar con me,
anche senza penna, anche senza carta,
e cerco di non saper più nulla,
soltanto pensarmi, 

e sempre più a fondo,
e senza sforzo,
lasciandomi andare, così.
Anche stanotte di scirocco lento.

CLVI

Sull'arenile m'arresto;
le onde lunghe si rivoltolano schiumando lente

poco rumore di risacca,
poco insistente,

due guardiani alati ritti sulla duna.
È l'alba, la Luna rompe il suo chiarore

le ombre dei ginepri si svuotano di nero
la soglia luminosa è avanti a me,

il silenzio si stende mentre avanzo
sono pronto nelle membra, il passo è lieve

quando varco quella porta che mi attende,
il vuoto che mi aspetta l'ho già indosso

il nulla, che lo segue, lo sento poi,
poco prima di affondare dentro me.

lunedì 16 giugno 2014

CLV

Vuole che ancora io scriva, il mio pubblico,
del mio amore per te,
vuole che racconti ancora dei tuoi capelli neri

appena tagliati,
dei tuoi occhi innamorati,
delle tue belle mani.

Vuole che scriva ancora 
del mio amore pazzo
per la piccola donna dagli occhi grandi e affettuosi,
troppo pulita, tanto fragile.

Vuole che scriva ancora
che non abbiamo perso niente, di quell'intesa,
che non distruggeremo mai nulla fra noi
di quel che è diventato nostro.

Vuole che, infine, scriva
che guarderemo sempre la stessa Luna
anche se siamo distanti sulla Terra

colmi a vicenda della gratitudine
per aver saputo in questa vita
incontrarci, e per la vita intera.

CLIV

In fondo vivo così 
per poter scriver nel tempo
dello struggimento,
che mi è più caro del riso,

anzi ne cerco in più 
di quanto assegnatomi,
forte della mia stabilità possente
che può inventar malanni...!

E determino peraltro, con i miei scritti,
le mie nostalgie e i miei affanni,
per trovar nel poeta
lo sperimentatore e lo scienziato

che moltiplica per sé stesso le dosi del veleno
fino a trovare l'immunità dal dolore
per sé e per altri,
un giorno, quando verrà quel giorno.

CLIII

Devo dirlo più spesso
devo dirlo più forte
perché passi il languore 

quel languore ostinato
che mi lascia incosciente,
perplesso, deluso,

devo dirlo più a lungo
che muoio d'amore
devo dirlo anche a te

per poter rinsavire
e scambiar la passione
con il rapporto che vuoi

quella quiete tra noi
che soltanto avrà ucciso
due orgiastici sogni.

CLII

Il vento a volte spinge
forte sui vetri

il sole disegna rappezzi
qui in casa

nelle ore più calde
di una fredda giornata 

passata
anche questa

a cogliere nessi sfuggiti
il senso dei fatti accaduti

a cogliere noi
intriganti nell'ombra

a sciogliere il nostro destino
a sanare le colpe

di una vita trascorsa nel dubbio
se fosse giusto immolarsi 

o piuttosto lasciare che il tempo
risolvesse per noi.

CLI

In questo momento

solo tu,
tra inutili volti  
invidiosi

solo tu,
ritrovo di gioie e memorie
legate alla vita

solo tu,
tra troppi sprezzanti
la mia vita selvaggia

solo tu,
riconosciuta metà 
amica cara.

Alessandra guida (2).

-Babbo, il Belgio non l'ho trovato.
-Bellissima la spiegazione dell istintualità -ignora l assenza di apostrofi cervellotici da ricercare nelle funzioni di questo telefono-
-Bene, non capivo che ancora ti riferivi all' analista.
-non credo di aver capito: "Alessandra guida" è il titolo dato al mio scritto ed inserito nel blog?
Grazie per le belle parole che hai espresso su di esso.

Mi fa piacere che sia tu a leggermi. Non credo affatto che altri possano avere vantaggio o piacere a leggermi.  Può sentire chi solo conosce quell emozione, quel vissuto. Nè voglio confondere il mio dolore con gli altrui, analoghi.
Il dolore è identitario, è più lui a delineare i miei tratti che la mia cultura, la mia fisionomia, la mia professione. 
Non so chi sono, la mia mente sa di non sapere e di non avere accesso alla Verità,  la mia anima è introvabile, per cui non idonea a darmi identità,  il mio aspetto si rapprende o distende a suo piacimento senza piglio,
Il  dolore, gravido, attende il nuovo parto mentre ancora allatta la sua creatura precedente.
Tutto ciò che di lineare consequenziale conosciuto ed integrato in me è, È lui.
Sono Organismo dolorante che di sé altro non  conosce se non lui, Dolore.
Ha assorbito a tal punto la mia  vita che non sento più emozioni, satura.
Ma lo conosco.. a breve tornerà a strapparmi la polpa viva, per sfamarsi ed affermare la sua identità,  unica.

de l'ALCOLISMO

Una traccia per l'incontro sui Procedimenti abilitativi nel Programma di A.A. 
riletti in sequenza.


L'ASSERVIMENTO ALLA MENTALITÀ.

Chiusura alla socializzazione nei campi del confronto relazionale, sotto ogni aspetto,
culturale, affettivo, politico, religioso e via dicendo.
Questo comporta all'alcolista, di fatto, l'emarginazione o l'auto-esclusione, che 
sfociano nella ideologia inconsapevole del fondamentalismo delle idee, come
conseguenza all'isolamento e alla solitudine.
Tutto ciò costituisce la motivazione che comporta la MENTALITÀ CHIUSA che
caratterizza i comportamenti di relazione sociale tipici dell'alcolista.

LA SCOPERTA DELL'INTELLETTO.

Quando questa scoperta si manifesta a seguito della scelta di sobrietà da parte 
dell'alcolista (che consiste nel non bere alcol un giorno alla volta), iniziano a 
manifestarsi, a individuarsi, a prendere corpo atteggiamenti che si traducono
in veri e propri comportamenti che inducono l'alcolista stesso al confronto, alla 
condivisione, alla collaborazione costruttiva con i diversi da sé: si tende al 
conoscibile, che si può condividere soltanto se si socializza con tutti.
In pratica qui risulterà assicurato il diffondersi, per i singoli nel gruppo, di una
vera e propria crescita spirituale che, all'esterno del gruppo ed una volta che 
ci si sente slegati, evasi dalla lettura scorretta perché offuscata dalla sostanza,
evasi dalle storture caratteriali che discendono certamente dalla mentalità,
quanto meno poco elastica, acquisita precedentemente, nel periodo così detto
attivo, una crescita spirituale, dicevo, che risulterà quanto meno benefica.
Tale nuovo atteggiamento, che chiamerei culturale, acquisito o, per meglio dire,
conquistato, con sofferenza e dolore, con la frequenza assidua dei gruppi e con
l'ascolto attento, soprattutto, delle testimonianze che si praticano nelle riunioni
fra alcolisti, porta infine questi a prendere in seria considerazione l'ipotesi di
essere in realtà un soggetto pensante, che è anche ed ormai in grado di passare
oltre le distorsioni mentali acquisite in precedenza per approdare, a pieno titolo,
al contesto ampio dei soggetti che stabiliscono serene e durature relazioni con
la collettività tutta, ricevendone benefici fin da quando si inserisce o reinserisce
in questa collettività.

L'APPRODO ALLA COSCIENZA DI SE'.

Il distacco dalla MENTALITÀ sopra illustrato, mentalità spinta talvolta, anzi spesso,
fino all'ottundimento indotto dalla continua ed irrefrenabile ingestione di alcolici, può 
suggerire al praticante dei gruppi di auto-aiuto la sempre negata accettazione di
essere alcolizzato (una vera e propria condizione di anestesia totale, del fisico e 
della mente), il riconoscimento della propria malattia che conduce il soggetto alla
ammissione della propria impotenza riguardo alla gestione equilibrata di qualsivoglia
sostanza alcolica.
Ciò che è stato detto conduce quasi sempre al riconoscimento, alla ammissione della
propria completa impotenza nei confronti della sostanza e può portare alla decisione
determinata di non assumerne per 24 ore a volta, un giorno alla volta insomma, come
è usuale dire nei gruppi di recupero.
Questo è il PRIMO PASSO del programma e deve essere praticato con successo 
continuativo prima di passare agli impegni richiesti dai successivi 11 Passi che,
insieme al primo, costituiscono il Programma di A.A. (Alcolisti Anonimi) e che mirano
alla abilitazione, o riabilitazione, ad iniziare un percorso spirituale, oltre che culturale,
che li veda finalmente artefici attivi positivamente della propria vita.
Concludendo, lo scopo di tutto quanto questo consiste nella trasformazione in mister
Hide di un sembiante dr. Jechkyll, inadatto anche alla mera sopravvivenza fisica.
Ultima personale annotazione ha per oggetto la presupposizione che investe i 
recuperandi ed i recuperati (pur sempre pro-tempore, le 24 ore di astinenza vanno
protratte per l'intera vita e una ricaduta nel problema è pur sempre possibile) che, in
realtà non esistono, si rimane sempre recuperandi cioè, a dirla tutta, la presupposizione
dicevo, in ragione della quale si pensa nell'ambito che solo un alcolista può capire un
suo compagno di sventura (o di avventura, dipende dai punti di vista), un altro 
alcolista.
E debbo dire che a quella imperiosa affermazione aderisco appieno per la mia esperienza;
ma, per quanto si vuole, ci si può rispondere che tutto è relativo, in questo mondo.
Basta non prendersela anche se si ritiene di essere dalla parte della ragione, magari
contro affermando per celia che per me invece tutto è assoluto, in questo mondo, e
provare a dimostrarlo, certi che la crescita risiede unicamente nel confronto, Grazie.

domenica 15 giugno 2014

CL

Ho disegnato il tuo nome

su di un alito di vento
con la mano incerta

ho disegnato il tuo nome
e l'ho visto scivolare

sulle foglie dei platani,
su di un alito adì vento

svaporare e condensarsi ancora
sui marciapiedi congestionati

su di un alito di vento,
dove ho scritto il tuo nome

perché lì rimanga inciso
a ricordarmi di te.                 

CIL

Tanta felicità sempre

cercala dove sai
nel ritiro delle tue grotte
tra le braccia di amanti

nel mare da dove vieni
nell'incontro con il tuo amato
nell'operosità assidua

rivolta al bene come da sempre fai
e fai, fai, fai
in nome tuo soltanto

perdutamente amata.                 

CXXXXVIII

Dopo la pioggia il sole
spezza le nubi
macchie di cielo.

Un rivolo per strada
lingua d'argento
bruno l'asfalto.

La panchina verde gronda
stille lucenti
d'autunno.                 

CXXXXVII

Rilucenti di pioggia
si staccano secche
le foglie.

Ammantano 
di colori appassiti
l'erba del parco.

Il grido del tuono vicino
lacera l'afa
e si spegne.

E' autunno, dovunque.                 

CXXXXVI

Passerà il tempo
che mi tiene lontano dai tuoi abbracci
passerà il tempo.

Rifioriranno i prati
i petali cadranno
t'aspetterò.                 

Alessandra guida.

Questa è il mio di percorso, 
In sintesi.

Dalle sbarre del letto io 2 anni cerco di comprendere di chi sono quelle mani che incrociano le mie, consolatorie ma allo stesso tempo responsabili di avermi messo in quel letto distante dall'amore.
Gli anni scorrono cerco di capire perché da quella porta mio padre non fa più rientro
Si avvicina il saggio di danza dei miei otto anni, cerco di capire perché mia madre mi sussurra che mio nonno è volato in cielo piangendo
Il tempo scorre, non capisco perché mia madre non si fidi di me e sia così ostile nei miei confronti
Giugno 1983, mia mamma sedendosi cavlcioni su di me mi doma, con un mestolo di legno percuote le mie gambe, insultandomi e sbraitando mi urla che andrò a fanculo da mio padre, che tornerò in ginocchio chiedendo perdono.
Il mestolo si spezza.
Il mio cuore è trivellato, paralizzato.
In Sardegna mi aspettano  la fredda distanza ed il sarcasmo di Laura, la intermittente attenzione di mio padre, interi pomeriggi di quiete familiare, ma della famiglia di Iaia, l'assenza di mio padre, la rivalità e l'esclusione di 20 compagne di classe, la frettolosa pietà di un pugno di curiosi, interi mesi di solitudine in una casa estranea, in una città estranea in una "verità" estranea.
La malattia di mio padre, il suo devastante dolore, la sua totale perdizione sono i miei insegnamenti. Ignoro, quanto lui, la realtà,  mi sforzo, mi impegno con tutta me stessa di capire cosami dice, cosa si aspetta da me per meritarmi la sua presenza e le sue cure.
Mi chiedo perché. 
Il dolore è soffocante, non trovo spiegazioni alcune, solo al perché delle lacrime di mia madre. La morte è l'unica  manifestazione che ha svelato le sue ragioni.
La vita, vigliacca, tace.
Forse è l'amore ad offrire ristoro e a sdoganarmi dal terreno radioattivo della mia vita.
Affondo lentamente nella più illusoria terra, di reale solo il dolore, non c'è fine... 
sono ormai passati 40 anni dal giorno in cui protendevo le mie mani fuori dalle sbarre, la mia gabbia è ancora intorno.
Solo le mani di mia figlia, coraggiose,  la attraversano.
Devo fare attenzione a non tenergliele salde..
La mia discesa non è ancora terminata..

CXXXXV

Il tuo corpo non l'ho
ancora guardato;
gli occhi, le labbra, da sempre.

Gli occhi, le labbra.

Una piccola o
descritta da labbra socchiuse;
pagliuzze d'oro nel nero.

Nel nero?

Forse i capelli,
forse le scarpe,
forse.

Forse il tuo passo.

Non rispondermi mai:
perché ti amo ancora?
Il dolore è l'estasi del piacere?

Tu lo sai quanto me ...                 

CXXXXIV

Ti comunicherò solo più in là
che commisi persecuzione 
sul corpo già sfinito

già esausto di inconscio collettivo
come mi insegnò a chiamarlo la tua benevolenza
e solo per questo

disposi il riscatto
da mie pretestuose infermità 
utili a molti incapaci della mente

a sentirsi più forti
di pochi diversi da sé,
geniali, purtroppo.

Tu, in quella presunzione, tra gli ultimi.

CXXXXIII

E rimarrò a guardare
legato e in silenzio
le foglie sparse
le onde ribollenti su gli scogli

la luna, il sole, le colline
le montagne
le nebbie nelle piane
e l'urlo del dolore,

Gli occhi e le mani,
io rimarrò a guardare,
legato ed in silenzio
l'ombra della vita

che per un attimo oscura
il tuo sentiero e prosegue
pronta a rincorrerti ancora
che tu lo voglia o non.

CXXXXII

Alle riva si fermò qualcuno
cento anni si interrogò
alla luna domandò qualcuno
s'inabissò nel blu.

A questa donna chiese allora 
perché non sei per me?
La donna non rispose non lo so
qualcuno l'immaginò,

Immagine, se fluttuo in te
la mia risposta avrò?,
ma i rossi papaveri del re Sole
ritacquero del mondo. 

                        Qualcuno si allontanò indeciso,
                        qualcun altro si avvicinò.

Gibran guida.

La vera bellezza risiede nell'accordo spirituale
chiamato amore
che può esistere tra un uomo e una donna.

CXXXXI

Il poeta non è un pedagogo;
scrive per sé, il poeta,
si illustra gli eventi

colorati di tanta veggenza,
ed il quadro, alla fine,
si traduce in astratto

impudico per troppa armonia
lacerante per troppo silenzio
verità dei forti.

CXXXX

Più d'uno è sbigottito.

Forse
non credeva davvero potesse
la verità farsi strada da sola.

Più d'uno è sbigottito.

Forse
non credeva davvero potesse
la verità rivelarsi anche a lui.

Più d'uno è sbigottito.

Forse
non credeva davvero potesse
la verità proseguire scavalcando i suoi dubbi.

CXXXIX

Il cielo è di un perla sfocato
oggi a Roma,
le rondini
folletti radenti.

Forse le note dell'organo
dall'altare maggiore,
forse il canto di angeli,
un coro che nessuno vedrà.

E' di un muto la voce,
è di chi ha scelto il silenzio;
le parole pietre soltanto
se chi ascolta è dormiente.

E' di un muto la voce,
è di chi ha scelto il silenzio;
le parole luce per gli occhi
se chi ascolta ha l'amore.

CXXXVIII

Da anni in consapevole ascesi
testimone il primo quadro
un cero acceso tra l'inferno e il paradiso.

Undici anni per sapere ancora
d'essere già 
quel che sarò.

Ho cercato invano un amico,
una donna, una madre, un fratello,
per dividere la gioia ed il peso.

Ma ogni croce è d'ognuno, è l'amore
a vederla sulla schiena dell'altro.
Quell'amore che è troppo più su.

E' da anni che so che la scienza
della mente, del corpo, del senno,
non poteva più nulla per me.

Ed ho salvati la mente e il mio corpo, anche il senno,
attingendo alla grazia,
per portare anche oggi il messaggio.

Quanta rabbia inghiottita finora,
quanto amore per farla smaltire,
quanta forza in quei pochi sostegni.

Ho mantenuto l'impegno
già contratto per libero arbitrio.
La mia storia non finisca mai più.

CXXXVII


(una storia come un'altra...,
il poeta che strana creatura!).

Torno passeggiando in luoghi cari,
nella luminosa giornata
ecco la prima scoletta e quella casa,
domus d'Icilio d'Aventino.

I poeti creature straniere
addossate al tormento,
il pensiero è alla Luna
la memoria è nel nulla.

Le medie giù, sul lungofiume,
tanto d'altro,
immacolate immagini 
di intenta giovinezza.

Lo strappo soltanto poi
un digrigno alla vita,
o tigre o iena o puma
Inebriato del suo sangue.

E demone, stizzito d'aver smarrito
l'identità primaria,
portatore di luce annegato
la sua bara l'universo.

Mi risvegliai per gioco,
per gioco divino mi ricordai di me,
gridai agli specchi d'una catacomba
il mio coraggio ed una sfida.

La voce del Silenzio
mi trascinò lassù,
per guida la Verità 
e un acrobatico ingegno.

Nel Giardino degli Aranci, su di un colle,
passeggio indossando questo corpo.
Per tappeto la ghiaia
per soffitto più nulla.

sabato 14 giugno 2014

CXXXVI

Ci sono momenti particolari 
forse più difficili
nei quali non mi sembra possibile
arrivare a comprendere.

Ma quand'anche non arrivassi alla comprensione,
accolgo egualmente in me quel seme di conoscenza
e lo custodisco al riparo, nel cuore,
non lo lascio esposto al vento dell'ignoranza.

Un giorno, forse, quel seme germoglierà,
rendendomi finalmente pronto non solo alla comprensione,
ma anche all'attuazione (rendere cioè reale quel messaggio),
che si tradurrà poi in verità acquisita senza sforzo.

E' una vera e propria grazia, e viene dall'alto.  

venerdì 13 giugno 2014

Raphael guida.

L'intento è di morire ( a noi stessi ), non di offendere.
(indicazione realizzativa)

Adriano guida.

Il conseguimento della propria vera Natura
non è reale,
ma solo apparente,

perché, in verità,
già siamo Quello che pensiamo di dover divenire
o realizzare.

Nota dell'autore.

Mi manifesto a sostegno dell'espressione dell'indole,
del tono e del timbro dell'ente individuato incarnato uomo
ed in opposizione alla prosecuzione del culto dell'Io,
della persona
(in greco: persòs = maschera)
e della personalità,
che celano la reale natura dell'essere
e che si perpetua nell'inconscio collettivo.

CXXXV


(christhòs, colui che si è reso manifesto)

Gabbiani sopra il quartiere
le bianche ali a punta scura stese
cento piante dai terrazzi affacciate
su basiliche cristiane.

Si aspetta Cristo, che ritorni qui,
e si prega appoggiati alle finestre
e dentro i templi
aggrappati alla cadenza di ipnotizzanti rosari.

Se è scritto, tornerà quel Cristo
dolce Gesù assai poco mansueto
forte soltanto di umanità inespressa
logorío di oranti, pungolo per questi mai.

Tornerà, se scritto, neanche stavolta in gloria
confronteranno cartoline al volto nuovo
salterà quel mito, prevarrà il messaggio.
Cristo sei tu, non manifesto ancora. 

CXXXIV

Quasi che il frutto non pagasse più 
di mille vite
l'essere iddio

tenacemente m'aggrappo
a virtù modeste, ai miei difetti
ai sogni che incarnai solo stavolta

per divagar di più qualche anno solo
afflitto dal rimpianto
di non saper cicatrizzare mille ferite

una per vita

inferte dalla bruna lama
all'anima accecata dalla fuga,
in terra e in cielo, per sottrarsi al suo principio.

CXXXIII

La strada di ora è solitudine
ma il vuoto non c'è,
presenzio ancora alla mia vita.

Il giorno mi si inoltra guardingo
nelle pieghe inventate dal tempo
e si accuccia la notte incosciente,

disvelando la cruda credulità che infetta:
che tutto si svolga, cioè, dentro di me,
in obbedienza a legge che non sia la mia.

La strada di ora è solitudine
ma la paura non c'è
per non tirare più, ormai, ad esser vivo,

ma ad essere infinito, quello sì.

E così sarà anche per noi.
Condiviso l'intento e uniti in uno, si oltre passa.
Come il millepiedi sa, per sua natura antica.

CXXXII

Ed ancora adesso guardo
sorpreso
la fermezza che accompagnò,
l'altr'anno appena,

quel mio procedere caparbio
nelle spirali estranee
della follia raggiunta
e da questa emancipato poi

solo per stizza

per non dover restar legato ancora
al sogno tra sogni,
trasecolato di vedere sfinire
sforzi nel fondo

e virtù palesi
schiantarsi nell'oblio dopo la resa,
se così fosse andata,
al sentimento di morte tanto vivo.

Annotazione.

L'intenzione di questi scritti è ancora quella
di spostare la tua attenzione dalla realtà 
contingente/transitoria
(senza con ciò invitarti a ignorare, peraltro,
il contorno e dintorni, e a non viverli appieno)
a considerazioni più attente circa la reale 
natura del tuo essere, eternamente libero
da qualsivoglia formula di ingabbiamento.

CXXXI

 Fuoco inestinto 
che procedi nell'opera
di disciogliere il ghiaccio
dai pensieri rappresi

che i sensi raggrumarono,
che cristallizzò la mente,

Fuoco,
sottratto al passato,
fomentato per gioire più in là,
di stasi, di quiete, di pace,

presente Fuoco
in eterno presenza di luce,

di luce intravista cogliendo i bagliori
scagliati da occhi
che intrecciarono accese
mille vie per l'amore,

nonostante le schiavitù forzate
e il timore del giorno,

il freddo della notte ancora;
e le solitudini dei sensi,
cinque fantasmi ignoti
abilitanti l'irrealtà del mondo,

che scioglievi col tuo sorriso,
eletto a bersaglio dall'invidia crudele

dei sordi e ciechi e barbari spennati,
attentatori, ladri;
riflesso luminoso, prima,
ma che brucia ora che sai

d'essere pura e di brillar di più 
fusa nel sole in vita.

E nell'attimo eterno
trascorro le ore, i miei anni:
miraggi tollerati, nel tempo lento,
che l'ingegno mio dipana ancora,

nel morire a me stesso intento.
Io non offendo più.

Anonimo.

Quando mi pensi, sappi che sono dentro di te, vicino a te, intorno a te.
La verità è che io sono te e tu sei me.
Se cerchi questa identità la puoi trovare solo nel completo silenzio interiore.
Lì scoprirai, inoltre, l'identità con tutti gli esseri e con tutte le cose.
Se hai compreso, anche a livello dottrinario, chi Sei,
sii felice, immensamente felice per quello che sei.

mercoledì 11 giugno 2014

CXXX

Ai sedici anni risalgo con la mente
per ricordare gli altipiani di Arcinazzo
e l'amore impossibile, che durò due agosti.

Lei, un fiore di ragazza, bella,
bionda, gli occhi azzurri, corpo di fata,
Il nome stesso era, per me, incantesimo.

Quando con la chitarra suonava in mezzo ai fiori,
quando gridava le sue note più alte,
il vento si fermava ad origliare.

Ci siamo ritrovati in facoltà,
abbiamo fatto qualche esame assieme,
il mio amore per lei non ebbe mai fortuna.

Forse sei a Roma, svolgi la professione;
è sempre stato il successo il tuo destino.
Non ti meravigliare se ti ricordo, Laura, ancora.

CXXIX

Descrivo quel che sento, è la mia prassi,
è diventata norma perseguita,
mi spinge a esplicitare ciò che ho.

Io sento come un sibilo perpetuo
quand'è la notte, di intensità costante;
modula o acquieta le percezioni mie.

Questo avviene da non molto,
e alla sola tempia destra;
non riesco a risalire al suo motivo.

Dato che nei pressi tubi d'acqua non ce n'è,
ritengo sia la mia immaginazione,
che nell'emisfero destro ha sede,

che si sgonfia ed interrompe il pandemonio dentro me.

CXXVIII

Tutto sembra distante, ora,
lontani gli scritti precedenti, i tanti miti.
Da ieri son passati mesi e mesi, da che non vedo te.

Il cuore è fermo, l'anima è serena,
hanno retto alla dura operazione.
Lobotomia d'amore, se posso definirla.

CXXVII

Quaranta righe di taccuino, son solo bianche,
e non voglio che mi lasci, questa vena;
non so più che scrivere, son dissanguato.

E' scuro tutto, è scuro l'orizzonte,
né riconoscerei mai te, se t'incontrassi,
né saprei dirti che più di sempre t'amo.

Non ho rifugio, sono in balia del vento,
del sole, del gelo, dell'aria che appassisce.
Mi scopro a re-imparare il nuoto, se affogar non voglio.

CXXVI

Tutto è più morbido
non sento più l'acciaio nei miei arti
si fondono le lance nella quiete

dei magli per colpir son disarmato
si slega la mia mente dall'agguato
il granito dell'altare è solo pietra.

CXXV

Trabocco, sai, di tolleranza, che
si esprime per me nell'assorbire la presenza
di persona d'animo non nobile,

ad esempio, e secondo il mio giudizio,
quando costui presenzia con volgarità 
nell'angusto ambiente, ove mi trovi anch'io.

Ma la tolleranza non mi fa obbligo
di salutare e riverire chiedendo: come sta?,
usanze aduse all'uso di esercitar l'educazione.

Ma il caso nostro non è di intolleranza,
io mi appago di penetrar nelle tue storie
e non ritengo che tu, di nobiltà, faccia difetto.

Mi è sorto soltanto il dubbio d'essere tradito, forse,
oltre dai tanti ai quali ispiro solidale pena, al più,
anche da te, non sentendoti più curiosa di noi due, ormai da tempo.

Mi hai rivolto i tuoi più cari auguri, direi, con calda educazione.
Tanto che dubiterò d'essere in torto io,
quando lascerò che scenda ancora il mio dolore cieco.

martedì 10 giugno 2014

CXXIV

Non so parlare più d'amore, è fermo tutto,
come la foglia di una canna senza vento
come la mia ombra buia, rabbuiata nella notte.

CXXIII

Da oggi del tu, ti chiamo Diana e basta,
e da adesso sobbalziamo ai nostri nomi

sillabati nudi dopo anni di frequenza.
C'è il nostro affetto, dentro, quello più palese.

CXXII

Mi hai regalato Freud, due volumi enormi,
due penne a china con la mascherina
che riporta su carta geometrici tracciati.

Tu non sai, davvero mi ha commosso
saperti intenta a scegliere per me
proprio le cose che ho al fondo del mio cuore.

La psicologia senz'altro, calata in psicoanalisi,
è un male dolce che m'è entrato dentro il sangue:
è nato con te, da quando t'ho vista in camice.

Le penne le adopero da una vita intera
ma la poesia sarà tracciata con segno più netto
già nelle righe che comporranno il logos tuo,

Sole quadripartito dedicato a te.

CXXI

A due giorni dalla conclusione dei nostri incontri
è tutto chiaro, anche più di prima.

Il mio ciclo non preme ancora irresistibile
e la mia passione si riversa un po' dovunque.

L'amore per il Tutto è equilibrato
non gradisce gli svenevoli trasporti.

L'affetto per te, amata, è sempre forte
ma è più disteso, una duna che livella il baratro.

L'amore per te, donna, ci voleva,
andavo avanti con secchielli alterni:

un po' riempivo il buco, un po' traevo,
per ricolmar, nel mio servizio, quello di genti vuote.

Azzeccata immagine della fatica mia.

Mi auguro davvero ci sia compensazione;
mi hai riempito di quella sabbia sterile che portavi dentro

intanto che ti  svuotavo dalle ispessite sedimentazioni, ancora primordiali.
E rimani tu la mia passione ciclonica.

lunedì 9 giugno 2014

CXX

Vorrei saperti dire 
che il mio trasporto è sceso
che non è vero più 
che penso sempre a te

che anzi son distratto
da tutte le altre cose
che son più belle ora
che ho la libertà 

ma il fiume rosso scorre
soltanto in tuo ricordo
sogno da appena sveglio
restando in tua dolce attesa

il sole che riscalda
m'immagino sia tu
l'erba dei prati e i fiori
quelli di casa tua

le mille margherite
che mi invitano a sdraiarmi
per scriver degli occhi tuoi
sorgenti di luce chiara

che ritrovo solo in te
donna dal grande senno
ma dall'amor più grande
e non posso proprio esimermi

dal vedere in te la vita.

CXIX

Ti sognerò stanotte, come sempre,
e come sempre mi arrenderò per la stanchezza

di cercarti come immagine, per un attimo soltanto rapita
al mondo dell'illusorio, che non frequento oramai più.

Se non per te.

domenica 8 giugno 2014

CXVIII

Son perso, ne uscirò;
è passione ciclica che rafforza, dentro, il dubbio
se sia pazzia totale; dura da un minuto.

Il pollice è uncinato sul taccuino,
mi incanto nel seguire ronzii lontani,
si perde in rivoli di dubbio ogni certezza.

Tutto è distante, il tempo seppellisce
l'analisi protratta con ostinazione
e il risultato è uno: esco da me.

Vedo il pacchetto, ecco, poggio tutto,
ecco ancora, accendo la enne blu', l' aspiro;
riprendono contorno i mobili, anche colore.

So che se si esprime condensata
ed è di intensità così elevata
può sfogarsi ed esaurirsi in breve, come mina calpestata.

Se dovessi spiegare cosa è stato, direi nulla, ora;
e prima, viceversa, era di tutto. Mistica e possente,
in mondo parallelo, appena intravisto.

CXVII

Ho solo scambiato, ho confuso
la mutazione, che andava riguardandomi, con dissociazione,
per così tanti anni e tanti anni ancora

e rifugio era l'alcol.

Mi confortava la certezza
che passasse l'ennesimo treno, un altro in più 
che mi avrebbe tratto in salvo

e la follia la preservavo dentro, era la mia invenzione.

Perché ne son fuori, così come accade a voi?
E' per l' atto d'amore che ho rivolto a me,
che della follia è più forte, perché è reale.

Vedete, appena son rientrato son mutato.

CXVI

Passo le ore a spiare
quel che vai facendo,
trattenendo il respiro

se ti giri a guardarmi
sorridendo con le labbra belle,
tanto belle che le mordo con gli occhi, prima.

sabato 7 giugno 2014

CXV

Alla tua mancanza ci sono abituato
per tante volte non ti ho vista a lungo
ma, in qualche modo, ritrovavo tracce tue.

Ma la distanza mi coglie alla sprovvista
tu non ci sei e non ci sei sul serio
sparita dietro monti e fiumi interi.

La mia mente non arriva sempre a tanto
a ritrovarti a distanze così grandi
se non offri almeno un punto su una carta.

Poi mi oriento, dirigo lo sguardo verso te,
ti penso a lungo, mia cara e dolce donna,
finché mi insedio di nuovo a te vicino.

E la felicità che esprimi è anche la mia.

CXIV

Cerco, vagando con gli occhi
e con la mente,
un pretesto ancora buono
per vergare con la matita
la carta a righe celestina
che raccoglie
tentativi di espressione miei.

Cerco, fino al fondo,
di scandagliare un'anima
che sta aprendosi per me,
lasciandomi ispezionare
cento, mille anfratti
che non conoscevo prima d'ora,
ignorante di me.

Il dolore, ad esempio,
è come allora, certo,
ma le scoperte che si vanno più estendendo
lo fanno relativo
alla nuova percezione dell'esterno;
non più assoluto,
o almeno non tale da dominare la realtà.

E' dunque la capacità di sentire,
è il sentimento, quindi,
che elabora modi nuovi di captare
per aver la meglio sulla passività,
della sensazione monocorde del dolore
che tutto pervadeva ed ottundeva,
con la ostinazione del sempre.

Prende vitalità l'ultima funzione
riconosco il sentimento acerbo
quel sentimento che non avevo prima
e riconosco l'amore,
prima così asciutta sensazione,
come il dono che si porge in premio
a chi s'apre alla nascosta anima.



CXIII

Sathya, Dharma
Shânti, Prema
sono le quattro attribuzioni
del volto del divino
trasferite su un logos
che pretende di illustrarle.

Parole sconosciute,
la traduzione è questa:
Verità, Rettitudine
Pace, Amore
le quattro qualità che scopersi in te
prima di ritrovarle in Tutto.

CXII

Inalazioni d'aria, i sentimenti,
adesso provo solo intolleranza,
rispetto un po' il dolore,
ultimo il mio.

L'amore sembra si vada formando
non più come acuta sensazione d'ossessione
quanto piuttosto stima, che viene avanti a tutto;
e venerazione, che comprende quel significato.

L'odio aspetto ancora, e la pietà,
che neppure sensazione è stata mai,
lasciandomi incapace di versare
almeno una lacrima, sulla vita che perdevo.

CXI

Ribolle anche l'aria intorno
a questo mosto nuovo
che brucia dentro me.

Vorrei non aver le bollicine
vorrei saper restare sapido e scuro
vorrei rilasciar sentori ai frutti di bosco e bacche.

"Su binu nieddu" lo chiamano nell'Isola
forte e adatto a pulire il palato
dopo un piatto di pecora bollita.

giovedì 5 giugno 2014

Sigmund Freud ed il Poeta.

BIBLIOTECA PSICOANALITICA ITALIANA
Sigmund Freud.
Delirio e sogni nella "Gradiva" di W. Jensen.
(Citazione).

...... Preziosi alleati sono, però, i poeti, e ciò che affermano devesi altamente stimare
poiché essi sanno un' infinità di cose tra cielo e terra, delle quali la nostra filosofia
scolastica è completamente ancora all'oscuro.
Nella psicologia essi hanno sorpassato di gran lunga noi, uomini di scienza, perché 
attingono da fonti che noi non abbiamo ancora dischiuse alla scienza stessa.
Oh, potesse essere meno ambigua questa partecipazione dei poeti nell'essenza
significativa dei sogni! .......